Mensa sana in Università sana | Martedì 9 in Sant’Apollonia |

La nuova mensa di Sant’Apollonia è ormai in piena attività.

“Finalmente, almeno questo capitolo è chiuso”, penserà qualcuno.

E invece no.

Andando al di là della nuova estetica che i locali ristrutturati presentano, balza all’occhio una prima criticità: lo spazio effettivo per gli studenti. Al contrario di quel che pubblicizzano lor signori, all’inaugurazione i posti a sedere erano diminuiti rispetto a prima dei lavori ma successivamente sono stati addirittura asserragliati intensivamente fra di loro per aumentare miseramente il numero di sedie, aggiungendo tavoli anche all’esterno dei locali sotto il porticato di Sant’Apollonia (una scelta dovuta sicuramente ad un’alta valutazione ingegneristica), senza considerare, fra l’altro, i nuovi posti in pieno stile fast-food con vista sul muro.mensa_sant'apollonia_672-458_resize

Complessivamente lo spazio a disposizione degli studenti è notevolmente diminuito in favore di un labirintico percorso da affrontare col vassoio del self service e dal novello snack bar  creato in loco per guadagnare qualche spicciolo in più.

570 mila euro spesi per i lavori non hanno risolto il problema centrale della mensa: la coda. Nei giorni di maggiore affluenza (dal lunedì al mercoledì) la coda è aumentata esponenzialmente arrivando a coprire tutto il percorso che dall’ingresso al plesso di Sant’Apollonia porta fino all’entrata!

 E non è tutto qui.

Vi sono diversi punti da precisare, più o meno gravi, fra cui: la presenza di schermi televisivi sempre accesi su cui sono visibili canali satellitari, quindi altra spesa per l’abbonamento a Sky oltre ai diritti di diffusione pubblica da pagare alla cara SIAE, un’aggressione senza senso ad uno spazio universitario che poteva essere evitata semplicemente valorizzando la rete wifi (che copre l’intero plesso) ; una mini-bacheca praticamente inutilizzabile se non per attaccarci dei post-it; il vergognoso utilizzo di libri, che nessuno toccherà mai, come puri soprammobili  della cosiddetta aula studio, le quali pareti sono occupate da citazioni letterarie talmente casuali e prive d’intenzione da far accapponare la pelle a Marsilio Ficino con tutta l’Accademia Platonica Fiorentina.  La cultura diventa semplice arredamento.

È questo l’ambiente che una mensa universitaria dovrebbe presentare?

Considerando tutto questo, sembra palese l’intenzione del DSU e della Regione Toscana di disincentivare progressivamente l’utenza della mensa di Sant’Apollonia, la quale rappresenta per questi enti solo un costo, a discapito delle necessità basilari a cui ogni studente universitario dovrebbe aver accesso.

Se così non fosse, al di là delle speranze e della trasparenza, che i responsabili del progetto riconoscano pubblicamente i loro errori di valutazione e s’impegnino il prima possibile a rimediare alle loro mancanze per adempiere al meglio i loro doveri nei confronti della comunità. Sono conosciute le difficoltà di conciliare le esigenze pubbliche con quelle finanziare ma è fondamentale avere sempre ben chiaro, soprattutto in questi tempi, che le persone, gli studenti, vengono prima dei soldi.

Infine non possiamo non porre una questione fondamentale: perché, dopo 12 anni, continuano  a permanere in uno stato di completo disuso le aule studio ospitate dal complesso? Perché si spende –e spande- per mobili futuristici, abbonamenti sky e quant’altro ignorando la necessità concreta degli studenti del centro storico di usufruire di uno spazio dove poter studiare?

Collettivo di Lettere e Filosofia e Collettivo Nosmet – scienze della formazione

Ci diamo perciò appuntamento a Martedì 9, alle 12.30, sotto i loggiati della mensa, per organizzare un pranzo vegan per allietare gli stomaci in coda e distribuire materiale informativo su questa… ed altre storie!

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Gli spazi urbani fra diritto alla città e capitalismo

Città modificabile SamNell’università dequalificata ed espropriata della sua funzione sociale, abbiamo deciso di rivendicarne un’altra: un’università sociale, libera e gratuita.

Lottare per l’Università Sociale significa oggi contrapporsi ai processi di definanziamento, privatizzazione e aziendalizzazione del pubblico; rivendicare vecchi e nuovi diritti, servizi per il diritto allo studio che consentano alla massa di studenti e studentesse precarie di vivere e studiare senza l’ansia del presente e l’angoscia del futuro; organizzare contro corsi come ipotesi di lavoro per la politicizzazione del soggetto studentesco e per la produzione di un’analisi della società ormai scomparsa dai nostri dipartimenti, con cui sperimentare nuove forme di studio, discussione e crescita collettiva.

Controcorsi da costruire con tutti i soggetti (dottorandi e ricercatori in primis) che vivono, studiano e lavorano nell’università contro-riformata.
Controcorsi come strumento d’analisi dei meccanismi che stanno determinando le crisi economiche, le scelte energetiche, le strategie di guerra, l’evoluzione del diritto.
Controcorsi per l’elaborazione di un sapere fatto di analisi collettiva, di critica, di dibattito ma non solo.

Siamo convinti che fare organizzazione significhi condividere analisi e azione, riprodurre pratiche altrimenti sconnesse nell’ottica di potenziare ogni singolo percorso.
In questa direzione vanno i percorsi di riappropriazione e autogestione degli spazi universitari che come collettivi portiamo avanti in ogni ateneo. Riappropriazione di tempi e luoghi necessari per favorire reali percorsi di autorganizzazione degli studenti e delle studentesse.” da ateneinrivolta.org

Giovedì 11 Aprile |ore 19| “il Capitalismo contro il diritto alla città”, presentazione del libro di David Harvey e discussione con Sandro Mezzadra.|Facoltà di Lettere e Filosofia, piazza Brunelleschi 4|

Tema del primo incontro, e fil rouge della serie, è il rapporto fra sviluppo capitalistico e spazio urbano. Il diritto alla città, “significante vuoto”, è qualcosa che dobbiamo costruire, scopo di questo ciclo di seminari dentro e contro quest’università, è dotarci, collettivamente e con mezzi diversi dalle lezioni frontali ed unidirezionali, degli strumenti per teorizzarlo e praticarlo. La premessa, doverosa, è la seguente: città è un termine riduttivo, con città intendiamo lo spazio urbano non solo inteso come infrastrutture ma anche come spazi sociali, di produzione, di consumo e di processi di governo.

Qui la recensione di Sandro Mezzadra al libro di Harvey.

David Harvey è geografo, antropologo, filosofo e marxista. Protagonista indiscusso del dibattito contemporaneo sul marxismo e sul capitalismo globale.

Sandro Mezzadra è docente di filosofia politica all’Università di Bologna, collaboratore al progetto Uninomade

Giovedì 18 Aprile |ore 19| “Sulla pelle dei Rom”, presentazione del libro di Carlo Stasolla con Antonio Ardolino e discussione con Sabrina Tosi Cambini.|Facoltà di Lettere e Filosofia, piazza Brunelleschi 4|

Affrontare la “questione Rom” senza pregiudizi etnici né giudizi etici o morali è lo scopo dell’incontro come del libro di Stasolla, il quale ripercorre le politiche della giunta Alemanno come modello negativo di non integrazione e sfruttamento, cinico e politicamente strumentale, di una minoranza.

La recensione su Micromega. (qui e qui altri articoli)

Antonio Ardolino è operatore sociale della Cooperativa Benerdice, attivo da otto anni nei campi rom di Roma, coautore del rapporto sull’operato della Giunta Alemanno.

Sabrina Tosi Cambini è docente di discipline demoetnoantropologiche a Verona, assegnista di ricerca presso la Fondazione Giovanni Michelucci di Fiesole.

Giovedì 9 Maggio |ore 19| Democreazia urbana, cohousing e riuso, con gli occupanti del CeccoRivolta |Facoltà di Lettere e Filosofia, via Gino Capponi 9|

Davanti alla dirompente questione abitativa, c’è chi, come alcuni docenti ed architetti, ha teorizzato il cohousing, una proposta che da un risponde alla necessità di una casa per chi non ce l’ha o non può permettersela, dall’altro ripensa il concetto stesso di casa. C’è poi chi questa risposta l’ha messa in pratica, autorganizzandosi e praticando l’autogestione, l’autorecupero ed il co-abitare. Vogliamo indagare questa risposta con gli occupanti e le occupanti del Cecco Rivolta, per inventare un abitare democratico e riempire il “significante vuoto” del diritto alla città.

Il GSA (GhettoSupergiovaniAntinoia) Cecco Rivolta è una casa occupata, di proprietà dell’Università degli Studi di Firenze, in via Dazzi n.3, vicino al complesso delle Montalve. Occupata dal 24 Giugno 2000, oltre ad essere una casa, è un progetto sociale che cerca da più di undici anni di interfacciarsi con il quartiere e le sue necessità, sempre fedele al motto che ne ha ispirato la nascita: “una casa per noi un salotto per tutti”. Il “salotto” è costituito da:

-Più di 10 orti sociali autogestiti, nati pochi mesi dopo l’occupazione, nella terra davanti alla colonica.

-Da un campetto da calcio autocostruito, a libero uso degli abitanti del quartiere.

-Una area cani recintata, curata ed autogestita dai numerosi frequentatori.

Giovedì 16 Maggio |ore 19| Le mani sulla città, Firenze e le speculazioni, relazione e discussione con Unione Inquilini e No Tunnel Tav (in via di organizzazione) |Facoltà di Lettere e Filosofia, piazza Brunelleschi 4|

Giovedì 23 Maggio |ore 19| Rivivere gli spazi, con Spazi Docili. Mostra fotografica AREA240 di Giulia Piermartiri (in via di organizzazione) |Accademia delle Belle Arti, piazza San Marco|

Durante le iniziative ci sarà un aperitivo d’autofinanziamento, per sfamare le pance oltre che le menti, per riprenderci un po’ delle spese!

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Altre parole sulle tante (sprecate) riguardo allo scorso Venerdì

avere vent'anniIl senso della realtà, in questi tempi in cui parlare di gossip o di politica, di guerra o di missioni di pace, di austerità ed equità è equivalente, non ci si aspetta certo di trovarlo sui quotidiani nazionali; ma quello che è successo questo fine settimana supera di molto l’allucinazione o la servitù della stampa! Chi a quella festa c’era non ha assistito a niente di molto di diverso da quello che accade ogni week end dentro e fuori i locali fiorentini: gente che beve, gente che esagera, gente che si diverte, gente che schiamazza… è la movida, baby! E che non ci vengano a raccontare che l’amministrazione comunale ha idea di come “risolvere il problema”, se mai ce ne fosse l’intenzione. Il divertificio genera mostri, e Piazza Brunelleschi è il luogo dove tutto ciò si porta all’eccesso, grazie alla politica di ghettizzazione che da anni il comune propugna (con effetti ben visibili a tutti: un quartiere-parcheggio, vissuto solo di passaggio, con conseguente chiusura di ogni esercizio commerciale e degrado sociale, prima che urbano).
Detto ciò, senza soffermarsi sulle bufale di Repubblica e LaNazione che narrano di un girone infernale nel Chiostro della nostra Facoltà, millantando testimonianze (noi, che siamo parte attiva nel Comitato per Piazza Brunelleschi, abbiamo letto la mail di testimonianza del comitato, e niente di quanto riportato dai “giornalisti” è compreso fra quelle righe), vogliamo sottolineare i due aspetti che ci interessano:
1. La direttrice della neo-Scuola di Scienze umanistiche e della formazione (la nostra ex-Facoltà) afferma: “con la trasformazione nella grande biblioteca umanistica, potremo mettere tornelli come alla Nazionale e controllare gli accessi […] Le aule non saranno più dedicate alla didattica, sono convinta che la minor presenza di studenti scoraggerà le notti selvagge”. Qui ci sopraggiunge un dubbio: ma l’università deve auspicarsi “la minor presenza di studenti”? Pare alquanto bizzarro, sarebbe come se un macellaio auspicasse il vegetarianesimo! E comunque, a parte le metafore ardite, abbiamo sotto gli occhi in questi mesi proprio il fallimento dell’idea sottesa alle parole della direttrice: infatti, con lo spostamento delle lezioni in Via Capponi, la sede di Piazza Brunelleschi si sta svuotando, ma tutto ciò anziché “ripulire” la facoltà da forme inequivocabili di disagio urbano ha portato al contrario un incremento di queste problematiche.
Secondo noi la soluzione è VIVERE LA PIAZZA, VIVERE L’UNIVERSITA’! Il problema dell’abbandono della zona, dell’apatia dei frequentanti il polo centro storico è derivato dal modello di università “mordi e fuggi”, non certo dalla troppa presenza di studenti e studentesse.
2. Non ci entusiasma il binomio legale/illegale, così centrale invece sia per i “bempensanti di turno”, sia per chi fa dell’illegalità un vestito buono per tutte le stagioni; crediamo maggiormente nel binomio legittimo/illegittimo. Proprio per questo riteniamo che la legittimità dell’utilizzo dei luoghi universitari ai fini della socialità studentesca risieda in una prassi per cui l’autogestione degli spazi è prima di tutto rispetto per gli stessi, significa avere coscienza delle conseguenze di ciò che si fa e non certo mero utilizzo per i propri scopi (sia pure più che condivisibili, circa un anno fa per lo stesso motivo, nello stesso chiostro, fummo noi stessi organizzatori di una festa-benefit per le spese legali del movimento!). Conoscere piazza Brunelleschi significa organizzarsi per contenere i disagi per i residenti (disagi facilmente individuabili ne “l’orinatoio a cielo aperto” e la confusione fino all’alba), significa promuovere una socialità altra rispetto all’usufrutto d’un servizio, altrimenti rischiamo di riprodurre quel divertimentificio che quotidianamente condanniamo.


Comunque sia, come Collettivo prendiamo una netta posizione contraria rispetto alle affermazioni della Direttrice Maria Pia Marchese, poiché l’università deve essere viva ed aperta, o non è. Come sempre vivremo il chiostro con le nostre iniziative culturali, politiche ed anche di socialità, come aperitivi e feste, affinché i gazzettieri di Repubblica e LaNazione abbiano di che scrivere nei loro tristi week-end.

Il Collettivo di Lettere e Filosofia

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Per una città verde, contro speculazione ed inquinamento!

L’amministrazione comunale di Firenze vuol far realizzare ad una Associazione Temporanea di Imprese un parcheggio interrato in Piazza Brunelleschi di 190 posti.

Il progetto è un Project Financing, cioè è co-finanziato da un privato, il quale dovrà ricavarne degli utili. Il parcheggio prevede una TARIFFA ORARIA DI € 3.00, con possibilità di SFORAMENTO DELLA ZTL con 1 euro in più, e NON sono previsti parcheggi gratuiti né sconti per chi ha il permesso ZTL.

Il parcheggio sarà a sosta breve e ricambio veloce, quindi è facile dedurne che ci saranno circa un migliaio di auto al giorno in più nelle strade strette di accesso e uscita dal parcheggio (S. Egidio/Oriolo, Bufalini, Castellaccio, Alfani, Pilastri). Inoltre il grande incremento di traffico ostacolerebbe l’accesso dei mezzi all’ospedale di Santa Maria Nuova.

Questo parcheggio a pochi metri dal Duomo è in palese contraddizione con la ZTL e la pedonalizzazione di alcune zone del centro.

Abbiamo costituito un comitato di cittadini per dire NO a questo tipo di parcheggio in quanto SIAMO PREOCCUPATI PER L’AUMENTO DI TRAFFICO E L’INQUINAMENTO ACUSTICO E ATMOSFERICO che avremmo sia durante che dopo i lavori.

Il comitato propone la riqualificazione della piazza mediante la creazione di un giardino protetto e sostiene che ci debba essere una riorganizzazione del sistema dei parcheggi della zona, che però non dev’essere fatta a scopo di lucro, ma finalizzata a riqualificare la zona, essere utile alla cittadinanza e facilitare l’accesso ai servizi pubblici; dev’essere coerente con la ZTL e volta al miglioramento della vivibilità di tutta la città.

proposta-giardino-pubblico-Piazza-Brunelleschi

Il progetto del giardino per piazza Brunelleschi >

comitato.piazzabrunelleschi@gmail.com

collettivoletterefilosofia@yahoo.it

comitatoperpiazzabrunelleschi.blogspot.it

collettivoletterefilosofia.noblogs.org

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Per una critica del pubblico e della rappresentanza, per una riflessione sull’audit

Crisi

“E tu non piangi e non ridi / e vivi come se niente fosse
C’è crisi dappertutto / dappertutto c’è crisi” (Bugo, 2008)

Ormai è universalmente riconosciuto, come purtroppo socialmente accettato, lo stato di crisi. Una crisi che porta avanti, economicamente, i suoi effetti da almeno 5 anni, ma che ha radici ben più profonde: dalle crisi finanziare del 1974/75, alle privatizzazioni e deregolamentazioni dei decenni successivi fino ad oggi.

Una crisi economica che si accompagna però ad un’importante sorella, la crisi ideologica. Quest’ultima  è, da un lato, effetto della cosiddetta morte delle ideologie novecentesche, e dall’altro causata dallo spaesamento che ne deriva. Ci spieghiamo meglio: con il trionfo dell’ideologia del libero mercato, che anche nelle sinistre europee la fa da padrona, ci troviamo davanti ad un dibattito pubblico appiattito sulla tecnica economica e politica, senza possibilità di porci la questione se i principi sulla quale questa è fondata siano davvero corretti e neutrali e di conseguenza negando la possibilità di cambiamento. La nostra opinione è che di corretto e naturale in questo sistema non ci sia nulla ed anzi, i fatti ci fanno intuire che non siamo gli unici a pensarla così, tanto che dalla Grecia alla Spagna, passando per Portogallo e, in un certo qual modo, dall’Italia, i movimenti contro l’austerity liberista irrompono nella scena pubblica. In questo senso la crisi dell’ideologia dirompe: il pensiero dominante è dato come unica realtà possibile, nonostante tale realtà dimostri chiaramente il suo palese fallimento e tutta la sua insostenibilità

Portando il nostro ragionamento sul piano universitario, la diagnosi non si discosta di molto. L’università, dai primi anni ’90, subisce un progressivo attacco alla sua natura di strumento di emancipazione individuale e produttore di sapere collettivo

Con gli anni 2000 questo processo subisce un’ulteriore accelerazione fino allo stato attuale che ne è l’esito: l’università è diventata una istituzione senza spazi di democrazia interna, gestita da baronie e potentati locali, con forti ingerenze del mondo produttivo (lo stesso che ha prodotto la crisi di cui sopra), culturalmente appiattita, classista e socialmente inutile, come dimostrano le indagini sull’occupabilità dei laureati e l’ininfluenza della ricerca sul dibattito pubblico.

Tutto ciò avviene col beneplacito della classe docente, la quale ha la forte responsabilità di non porre dubbi sulla giustezza delle basi dell’ideologia liberista che ha trasformato l’università in questa fabbrica di precariato (anzi, oramai fabbrica di disoccupat*).

Riappropriazione

In questo panorama apparentemente desolante non ci restano che due vie, l’accettazione o la risposta. Noi che non abbiamo mai accettato proposte al ribasso, anche a costo di sentirci dire che “non ci va bene niente”, vogliamo rispondere a questa situazione nel modo più forte ed efficace possibile, “Sì, è vero, non ci va bene niente. Niente di tutto ciò: né l’università al servizio del profitto, né il futuro di ricatto, né lo stato di debito perenne”.

Ma come si fa? Proponiamo un ragionamento in divenire, una soluzione non data né finita, ma una pratica: la riappropriazione.

Se il dibattito sulla gestione della cosa pubblica è appiattito su “privato sì/ privato no”, noi ci proponiamo di indagare come questo privato no sia attuabile. L’ideologia del libero mercato è all’origine di questa crisi e non può esserne soluzione, ma quale pubblico vogliamo?

Riteniamo che non basti volere ri-pubblicizzare i beni comuni, magari dandoli in mano a quei politici che a dire di tutt* sarebbero una casta di ladri, ma che si debba ripartire dalla sorgente, cioè la partecipazione di ognuno ed ognuna alle decisioni collettive. Per questo ci siamo battuti e battute per l’acqua bene comune

Conflitto

Da sempre le istituzioni accademiche sono uno degli spazi del conflitto all’interno dell’università. Infatti il conflitto dentro e contro questa università non si è sviluppato solo con le punte più evidenti di attrito tra chi lotta per l’università di massa, libera e gratuita – le occupazioni, le manifestazioni, gli scioperi – e chi invece l’ha governata fin’ora in senso opposto, ma anche grazie a conquiste parziali e dinamiche quotidiane. I movimenti post-’68 ci hanno consegnato una serie di spazi di democrazia dentro i Consigli di Facoltà e d’Ateneo, che però reggevano sulle deboli gambe della rappresentanza, e difatti hanno dimostrato la loro scarsa efficacia.

Oggi dobbiamo immaginarci come si possa, da questa università, costruirne un’altra, basata sul comune. Quali spazi di conflitto si aprono quando vogliamo mettere bocca sulle scelte politiche di un ateneo, quando vogliamo decidere quali voci di bilancio sono o non sono sostenibili (non solo economicamente), quando ridiscutiamo le funzioni della ricerca accademica.

Non possiamo limitarci alla rivendicazione d’una università pubblica, dobbiamo capire quale sia il pubblico che immaginiamo, che si parli di università, beni comuni in genere o addirittura politiche economiche e finanza pubblica.

Auditoria universitaria

“Audit: Attività atta a determinare tramite indagine l’adeguatezza ed aderenza di un processo o organizzazione a stabilite procedure ed altri requisiti funzionali e a verificarne l’applicazione.” Definizione di Monica Dongili

Uno dei mezzi che immaginiamo quando pensiamo ad una riconversione del pubblico è l’audit. Questo è uno strumento che nasce come pratica politica in quei paesi schiacciati dall’austerity e che, grazie a mobilitazioni ampie e radicali, hanno individuato le reali cause dell’indebitamento dello stato fino a ripudiare tutto o parte del debito. La cosa più interessante è la trasposizione locale di questa pratica, che oltre i meccanismo di delega e che si fa, da un lato azione collettiva, dall’altro indagine sullo stato di cose.

La combinazione di questi due aspetti nella pratica di lotta dei collettivi può essere utile a radicare processi di partecipazione e possibilità di critica alla gestione degli Atenei, evidenziando come ci sia una matrice politica nelle scelte che invece, oggi, ci vengono “vendute” come oggettive e necessarie. Dai tagli al Diritto allo Studio al finanziamento da parte di privati per borse di studio vincolate a progetti di ricerca profittabili e brevettabili. Cominciamo ad attivarci per allargare il campo della nostra critica non solo agli aspetti che risultano a valle di questa condizione, ma andiamo a monte: mettiamo in discussione come i soldi vengono spesi , come le decisioni vengono prese, chi si favorisce e perché.

Questo è un contributo per una riflessione ed un dibattito, sui beni comuni, sull’università, sulle pratiche da poter attuare per non accettare lo stato (desolante) di cose.

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