Lo chiamavano centro d’eccellenza… In realtà era solo un magna magna!

SUM sta per Istituto italiano di scienze umane; una delle sue due sedi principali è a Firenze, all’ultimo piano di Palazzo Strozzi (altro che la facoltà di lettere e la sua Piazza Brunelleschi). Dovrebbe essere un centro di eccellenza di formazione e ricerca post-universitaria; in realtà si tratta di una scatola vuota, di un buco nero ottimo per inghiottire ingenti flussi di denaro pubblico. Voci poco lusinghiere nei confronti del SUM avevano iniziato a girare fin da pochi giorni dopo la sua fondazione, ma ora a certificare che qualcosa non andasse nella sua organizzazione e nella sua gestione finanziaria ci ha pensato un’inchiesta della Guardia di Finanza. Quello che dovrebbe essere la punta di diamante della ricerca umanistica italiana in realtà si è scoperto essere una combriccola di baroni di ogni razza e colore, che utilizzavano allegramente i fondi pubblici per cene, viaggi, assunzioni di amici e parenti. Da notare che uno dei direttori amministrativi indagati per truffa, abuso d’ufficio e peculato, Michele Orefice, è stato per anni anche direttore amministrativo dell’ateneo fiorentino, con uno stipendio che si contava non in decine, ma in centinaia di migliaia di euro. Qualcosa si spiega nel dissesto finanziario del bilancio del nostro ateneo.

Quello che a noi interessa non è tanto un ennesimo episodio di malaffare tutto italiano, manifestazione nemmeno troppo sorprendente di quel degrado dell’etica e della morale imperante nelle alte sfere della politica e della società italiana, di cui le grandi imprese erotiche del nostro presidente del consiglio e del suo seguito di corte da basso impero rappresentano solo la punta dell’iceberg. Quello che ci preme ricordare è che il SUM, in quanto centro di eccellenza, è la bandiera di tutti coloro che negli ultimi anni hanno portato avanti un’opera di vero e proprio indottrinamento ideologico tesa a demolire l’impianto dell’università pubblica italiana. A partire da opinionisti di vario genere (leggetevi ad esempio L’università per tutti di Andrea Graziosi o L’università struccata di Roberto Perotti), per passare al senso comune veicolato dai maggiori quotidiani italiani e finendo con le lezioncine che ci siamo dovuti sorbire da tanti nostri docenti preoccupati di accodarsi al carro del vincitore, in questi anni è stata una corsa a perorare la causa dell’eccellenza contro la piatta uguaglianza che regnerebbe nell’università ammorbata dalla peste del Sessantotto.

Il centro di eccellenza è il braccio armato dell’ideologia della meritocrazia e dell’efficienza, dell’impero del privato come dogma indiscutibile che ci ha portato ben dentro questa crisi infinita da cui potremmo uscire, secondo chi ci governa, soltanto con l’austerity e i sacrifici. Dicasi sacrifici il taglio di quel che resta dello stato sociale (pensioni, sanità, istruzione pubblica, gazanzie per i lavoratori). Non è un caso, in questo senso, se nel sito del SUM fanno bella mostra di sé parole come trasparenza, merito e valutazione. Ma la loro eccellenza non è certo quella della ricerca; la loro eccellenza è molto eno-gastronomica a vedere dalle cene che pagavano con i fondi pubblici. Cene, vini pregiati, viaggi: ecco dove vanno a finire i finanziamenti che ogni anno vengono spostati dall’università pubblica normale a questi fantomatici centri di eccellenza. E’ sempre la stessa logica, intrinseca al sistema neo-liberista, che vediamo all’opera nella società tutta: un’offesa continua alla decenza, forme di arbitrio sempre più smaccate, rapporti di dominio sempre più asimmetrici. Per loro non è più tempo di compromessi; poco importa se sotto la cenere cova la rabbia sociale.

La prossima volta che qualcuno ci verrà a propagandare l’anacronismo di un sistema universitario basato sull’uguaglianza fra gli atenei, la necessità delle “riforme” (altro feticcio ideologico, altra parola svuotata del suo vero significato) e della competizione “meritocratica”, ricordiamoci di quanto è successo al SUM, ricordiamoci di cosa sta dietro alle loro nemmeno troppo belle parole.

Noi non sappiamo che farcene di ricchi centri di eccellenza che navighino nel mare di miseria che qualunque studente di un normale ateneo tocca con mano ogni giorno. Vogliamo un’università che ci metta nelle condizioni di smascherare gli inganni che stanno dietro a parole come eccellenza, merito, competizione, efficienza, mercato.

Concepiamo l’università come un bene comune privo di finalità economiche. Vogliamo un’università pubblica; la vogliamo di qualità; la vogliamo gratuita e di massa.

Pubblicato in Prese di posizione, Università /didattica e diritto allo studio/ | Contrassegnato | Commenti disabilitati su Lo chiamavano centro d’eccellenza… In realtà era solo un magna magna!

Pranzo in Facoltà e Assemblea 28/09/2011

Pubblicato in Iniziative | Commenti disabilitati su Pranzo in Facoltà e Assemblea 28/09/2011

Firenze Bene Comune

Iniziata con il corteo del I Luglio scorso, l’esperienza di Firenze Bene Comune continua, animata da tutte le le realtà sociali presenti sul territorio fiorentino.

Durante l’assemblea di ieri (7 Settembre) in via dei Conciatori si è deciso di proporre un calendario comune di tutte le date che le singole realtà avevano già in programma e di continuare a vederci tutti insieme, senza naturalmente perdere le proprie identità, cercando finalmente di affrontare tematiche apparentemente diverse ma profondamente legate una all’altra nell’unico modo che possa essere efficace, lottare tutti uniti!

Non si può negare infatti che a Firenze come ovunque le istituzioni, le forze di polizia, gli speculatori traggano dall’eccessiva frammentazione delle realtà la forza e la capacità di sconfiggerle una a una, senza suscitare troppo scalpore nella cittadinanza. E’ seguendo questa logica che intendono consegnare lo stabile di Via dei Conciatori alla speculazione edilizia, nello stesso modo in cui vogliono togliere la dignità e il diritto alla casa alla gente che non può permettersi un affitto (negli ultimi mesi abbiamo assistito allo sgombero violento della tendopoli montata dai richiedenti asilo politico davanti alla Fortezza e quello attuato nel silenzio del 12 di Agosto dello stabile di Viale Matteotti). E’ sempre nella solita maniera che tentano di marginalizzare le lotte contro la svendità dell’Ataf, che tengono le realtà dei centri sociali nella perenne condizione di precarietà dovuta alle minacce di sgombero, che attaccano il movimento studentesco colpendo trentacinque persone con ordini di custodia cautelare (4 Maggio e 13 Giugno).

Naturalmente le lotte non sono circoscritte ad eventi di carattere puramente territoriale, come le minacce non arrivano solamente dalle istituzioni locali: tutto è infatti iscritto in logiche più ampie, in una tendenza nazionale e globale da cui non possiamo prescindere. E’ per questo che, capendo come tutti gli eventi locali siano determinati da logiche più estese, rilanciamo con forza l’idea di combattere tutti uniti un nemico che da soli non possiamo affrontare.

Ieri sera, dopo l’assemblea circa duecento persone hanno contestato il sindaco Renzi che si trovava al Verdi portando la testimonianza dei richiedenti asilo sul palco e raccogliendo firme contro la svendità dell’Ataf fuori dal teatro.

Di seguito il calendario provvisorio, che verrà continuamente aggiornato:

8 Settembre ore 17:00, Via Martelli, presidio contro la manovra finanziaria.

12 Settembre ore 17:00, Via Martelli, presidio contro la manovra finanziaria.

dal 19 al 24 Settembre il comitato No Tunnel TAV organizza un presidio permanente a Ponte al Pino (nei pressi del cantiere di Campo di Marte) con banchini informativi, raccolta di firme, discussioni e dibattiti. Per il programma completo del presidio, potete andare qui

24 Settembre ore 10:00, piazza San Marco manifestazione del Movimento di Lotta per la Casa contro ogni tentativo di criminalizzare i movimenti.

24 Settembre ora di cena, in via dei Conciatori cena evento contro lo sgombero dello stabile occupato e la speculazione edilizia a cui è sottoposto.

7 Ottobre, sciopero di 24 ore dei lavoratori ATAF contro la privatizzazione dell’Azienda dei trasporti.

 

Pubblicato in Iniziative, Prese di posizione | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Firenze Bene Comune

Benvenuti nell’università della/nella crisi

Ebbene sì, l’estate è ormai agli sgoccioli e anche a lettere ci si appresta ad accogliere le nuove matricole, cioè tu che leggi questo volantino, con il test di autovalutazione: un modo per introdurti nel magico mondo universitario, per mostrarne l’assoluta efficienza e la professionalità, per passare una giornata in compagnia nelle torride mattinate di settembre.
Sembra tutto bellissimo, ma come spesso accade…l’apparenza inganna. Questo test in teoria dovrebbe servire a evidenziare le lacune della tua preparazione; ma davvero si può credere che un test di mezzora con venti domande a crocette modello Settimana Enigmistica, a metà fra il banale e il trabocchetto, certifichino alcunché? Ma anche ammesso lo faccia, una volta non passato il test, davvero si può credere che un corso di recupero di grammatica italiana ti trasformi in uno studente modello? Sinceramente ne dubitiamo.
Se le sue funzioni didattiche ci appaiono nebulose, altre sono più chiare.
Che esso sia il preludio per un futuro arrivo di veri test a numero chiuso, parto mentale di tutti quelli amanti della “meritocrazia” che decidono il futuro dell’istruzione pubblica, è cosa abbastanza probabile.
Inoltre, anche raggranellare qualche soldo, vista la situazione economicamente precaria dell’università italiana, non fa mai male. Sinceramente però 30 euro per mettere a disposizione di una matricola potenziale (che pagherà in seguito anche 2000 euro di tasse) un computer scassato e venti domandine sulle doppie ci paiono un po’ troppi.
Inoltre il test è perfetto come “specchietto per le allodole”: serve a dare all’università una patente di serietà e di qualità buona da spendere su arrabattate classifiche di atenei che riempiono le pagine di qualche quotidiano o ai fini di discutibili parametri di qualità e produttività. Serve per nascondere quanto il livello culturale dei nostri atenei stia scadendo fino a farli diventare una sorta di dopo liceo alla mercé di privati a cui la recente riforma ha dato la possibilità di entrare nei consigli di amministrazione con funzioni direttive.
Nelle nostre facoltà tutto sta diventando sempre più finalizzato all’apparire, a rivestire con qualche patina dorata vagamente kitsch un’istituzione che fa acqua da tutte le parti. Si preferisce spendere i pochi soldi disponibili per guardie giurate armate, per telecamere e tornelli o magari per schermi enormi su cui scorrono informazioni inutili, piuttosto che per comprare qualche libro per le biblioteche, per offrire agli studenti qualche attrezzatura realmente funzionale (come le prese per i computer nelle sale studio) o per aprire alcuni spazi della facoltà in orario serale o festivo.
Il test è uno dei tanti sintomi di una malattia che sta uccidendo tutti gli atenei pubblici italiani e per voi è la porta per entrare in questa università in crisi nel bel mezzo della crisi. Prostrata dai continui tagli dei finanziamenti statali che ne mettono a rischio il funzionamento quotidiano, sconquassata da riforme senza fine che cercano soltanto di assoggettarla agli imperativi del sistema economico capitalista, indebolita ulteriormente dalla cecità di molti docenti, dalla malagestione e dai giochi di potere baronali, l’università tira avanti con sempre maggiore difficoltà, tappando un buco oggi sapendo benissimo che domani se ne apriranno altri cinque.
Noi vi chiediamo soltanto di non abbassare la testa, di non tirare dritto per la vostra strada che vi porterà a una laurea inutile, buona soltanto ad allenarvi a un futuro fatto di precarietà e di sfruttamento.
C’è bisogno di tutti voi per portare avanti e imporre un’idea di università diversa da quella che oggi ci troviamo costretti a subire, un supermercato di nozioni, imbellettato qua e là per nascondere la sua fatiscenza, in cui gli esami sono crediti, le tesi prove finali, gli studenti utenti.

Pubblicato in Prese di posizione, Università /didattica e diritto allo studio/ | Contrassegnato | 2 commenti

Beni comuni: che fine hanno fatto i milioni di Sì al referendum?

Privatizzazioni: il popolo ha ritirato le deleghe

Con l’alibi della crisi finanziaria e sotto l’egida della Banca Centrale Europea, il Governo Berlusconi ha deciso una manovra da macelleria sociale basata sulle stesse politiche liberiste che hanno prodotto la crisi.

In particolare, ha deciso di considerare la vittoria referendaria dello scorso giugno come un banale incidente di percorso che, se impedisce (per il momento) ai poteri forti di allungare le mani sull’acqua, senz’altro permette la riproposizione dell’obbligo di privatizzazione per tutti i servizi pubblici locali “a rilevanza economica”

Fa da contraltare la cosiddetta opposizione del PD, che si scaglia contro l’obbligo di privatizzazione, ma solo perché ne preferisce la libera scelta, fatta per piacere e senza imposizioni.

C’è qualcosa che continua a non essere chiaro al mondo politico e ai grandi capitali finanziari.

Con il voto referendario del 12 e 13 giugno scorsi, la maggioranza assoluta del popolo italiano ha deciso di ritirare due deleghe fino ad allora assegnate.

La prima delega ritirata è stata quella al mercato, dopo oltre due decenni di ideologia liberista basata sul “privato è bello”  e sulla drastica riduzione del ruolo del pubblico : con il suo voto, il popolo italiano ha rivendicato la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, la sua gestione partecipativa e la difesa dei beni comuni.

Una necessità di riappropriazione sociale contro un mercato pervasivo che ha assoggettato l’intera vita delle persone alla valorizzazione finanziaria, relegandola nell’universo della frammentazione sociale e della solitudine competitiva.

La seconda delega ritirata è stata quella alla politica istituzionale, dopo oltre due decenni di ipnosi sociale, basata sull’informazione verticale e unidirezionale dello strumento televisivo : con il suo voto, il popolo italiano ha preso atto della crisi, profonda e irreversibile, della democrazia rappresentativa, e ha rivendicato il diritto di poter decidere sui beni comuni che a tutti appartengono.

Riproporre con diktat autoritario le politiche di privatizzazione, come ha fatto il Governo Berlusconi, con la copertura politica di un’opposizione in stato comatoso, l’assenso delle cosiddette “parti sociali” e la benedizione del Presidente della Repubblica, significa voler far finta di non capire ciò la straordinaria esperienza del  movimento per l’acqua ha rappresentato: la fine di un ciclo politico e culturale e l’avvio di una inversione di rotta, dentro la quale il nuovo linguaggio dei beni comuni diventa, da mera costruzione teorica, pratica sociale e di conflitto.

A questo proposito, tanto il mondo politico istituzionale –di governo e di opposizione- quanto il mondo dei poteri forti economico-finanziari è bene sappiano che i movimenti per l’acqua e per i beni comuni non staranno seduti a guardare.

La manovra che prevede la fotocopia del decreto Ronchi (seppur esentando il servizio idrico integrato) impatta direttamente con quanto la maggioranza assoluta degli italiani ha deliberato con il voto referendario : per questo verrà impugnata, nelle forme e nei modi più opportuni, davanti alla Corte Costituzionale.

E, per quanto riguarda l’acqua, nessuno si illuda che basti un decreto che –bontà sua- la esenta dal nuovo tentativo di consegna forzata all’appropriazione privata : la doppia vittoria dei SI ai quesiti referendari ha detto chiaramente che l’acqua va sottratta al mercato e che la gestione del servizio idrico non dovrà prevedere profitti.

Ciò significa che le tariffe vanno obbligatoriamente ridotte della quota relativa alla remunerazione del capitale investito e che, territorio per territorio, la gestione dell’acqua deve uscire dalla forma societaria della SpA ed essere affidata alla gestione partecipativa dei cittadini, dei lavoratori e delle comunità locali.

Se questo non è ancora chiaro, sarà la mobilitazione dei movimenti per l’acqua, a livello nazionale e territoriale, ad esplicitarlo nei prossimi mesi.

Senza sconti per nessuno e con la consapevolezza di essere i custodi del voto referendario e della diffusa domanda di democrazia.

Sarà un autunno caldo quello che sta arrivando : servirà molta acqua per rinfrescare le lotte.

Marco Bersani (Attac Italia)

 


Il referendum cancellato

Non volevo credere ai miei occhi quando ho visto, già depresso per una manovra che si commenta da sé, che il ministro Fitto avrebbe messo a punto una norma che che prevede la messa a gara dei servizi pubblici locali (ad eccezione dell’acqua). La norma prevede che le gestioni in house, salvo quelle con valore economico inferiore a 900.000 euro, debbano cessare entro il 31 marzo del 2012. Un vero déjà vu.

Un vero déjà vu. Fitto era già cofirmatario del decreto Ronchi, quello che (la maggior parte dei media sembrano averlo già dimenticato), la maggioranza assoluta del popolo italiano ha abrogato due mesi fa rispondendo sì al primo quesito referendario. La struttura del nuovo provvedimento, che non porta più la firma di Ronchi soltanto perché quest’ultimo, grazie al cielo, non è più al governo, è identica a quella della legge abrogata dal popolo sovrano. Un obbligo di messa a gara a data certa, ossia proprio quella struttura che tutti in Italia hanno capito avere un impatto devastante sul valore di quanto si vuole vendere. Non più l’acqua ma cespiti importanti del patrimonio pubblico come i trasporti locali, l’organizzazione della raccolta rifiuti e tutti i restanti servizi locali di rilevanza economica che verrebbero svenduti con un impatto drammatico sul valore del nostro patrimonio pubblico. Con l’eccezione dell’acqua, il contenuto del nuovo provvedimento è a sua volta identico a quello del Ronchi che, come ben noto, non riguardava soltanto l’acqua ma (stava scritto sull’intestazione della scheda n. 1 cui hanno risposto sì circa 27 milioni di elettori) le «Modalità di affidamento e gestione servizi pubblici locali a rilevanza economica. Abrogazione».
Insomma sta succedendo esattamente quanto temevo. L’esito referendario è stato svuotato (complici le opposizioni) del suo valore costituente e ridotto ad una mera questione tecnica legata alla sola gestione dell’acqua. La vera inversione di rotta relativa alle privatizzazioni (e liberalizzazioni camuffate) richiesta dal popolo non è stata interpretata politicamente da nessuno (ad eccezione del solo De Magistris a Napoli) L’esito di questo imperdonabile vuoto nell’interpretare il cambiamento di sensibilità politica nazionale è che impunemente il governo Berlusconi (al posto di andarsene a seguito del voto sul legittimo impedimento) impone (pare sotto dettatura dei poteri forti europei) una manovra che, con scelta politica deliberata, fa strame del patrimonio pubblico e dei beni comuni, sacrificandoli sull’altare della crescita. Ma il popolo aveva detto che i trasporti pubblici ed i rifiuti, non meno dell’acqua, devono essere governati in modo ecologico, sociale e sostenibile, nell’interesse comune e non in quello dei soliti poteri finanziari.
Il governo si fa beffe, in modo palesemente incostituzionale, della volontà sovrana chiara, espressa solo due mesi fa rispetto al primo (e più votato) quesito referendario che era contro il decreto Ronchi-Fitto. Che il referendum non fosse limitato all’acqua lo aveva abbondantemente detto anche il fronte del no in campagna elettorale!. Personalmente ho contribuito a redigerne il quesito e ho partecipato alla sua difesa di fronte alla Corte Costituzionale il 12 gennaio. La Corte era stata chiarissima nel ribadire che ogni quesito costituiva un referendum separato rispetto agli altri. La Corte aveva inoltre acclarato che Il primo quesito aveva come intento politico quello di riequilibrare il rapporto fra pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali che, ad avviso dei promotori, il decreto Ronchi-Fitto aveva stravolto tramite l’obbligo di messa a gara.
Quanto sta succedendo è di una gravità politica giuridica e costituzionale inaudita. A soli due mesi da un voto popolare espresso si ripropone il provvedimento abrogato negli identici termini di forma e di sostanza. Sul piano giuridico, se il governo avesse deciso ieri di privatizzare l’acqua non ci sarebbe stata alcuna differenza. L’Europa non può imporre ad un paese membro provvedimenti incostituzionali. Questo si sarebbe dovuto rispondere a Trichet e Draghi.
Il Presidente Napolitano ha adesso un dovere costituzionale di intervenire su questo punto. Il fronte di difesa dei beni comuni non può fare lo sconto a nessuno.

Ugo Mattei (Il Manifesto 14/08/2011)

Articolo di Bevilacqua: Una crisi senza classe, tratto da Il Manifesto

Pubblicato in Prese di posizione | Contrassegnato | Commenti disabilitati su Beni comuni: che fine hanno fatto i milioni di Sì al referendum?