Beni comuni: che fine hanno fatto i milioni di Sì al referendum?

Privatizzazioni: il popolo ha ritirato le deleghe

Con l’alibi della crisi finanziaria e sotto l’egida della Banca Centrale Europea, il Governo Berlusconi ha deciso una manovra da macelleria sociale basata sulle stesse politiche liberiste che hanno prodotto la crisi.

In particolare, ha deciso di considerare la vittoria referendaria dello scorso giugno come un banale incidente di percorso che, se impedisce (per il momento) ai poteri forti di allungare le mani sull’acqua, senz’altro permette la riproposizione dell’obbligo di privatizzazione per tutti i servizi pubblici locali “a rilevanza economica”

Fa da contraltare la cosiddetta opposizione del PD, che si scaglia contro l’obbligo di privatizzazione, ma solo perché ne preferisce la libera scelta, fatta per piacere e senza imposizioni.

C’è qualcosa che continua a non essere chiaro al mondo politico e ai grandi capitali finanziari.

Con il voto referendario del 12 e 13 giugno scorsi, la maggioranza assoluta del popolo italiano ha deciso di ritirare due deleghe fino ad allora assegnate.

La prima delega ritirata è stata quella al mercato, dopo oltre due decenni di ideologia liberista basata sul “privato è bello”  e sulla drastica riduzione del ruolo del pubblico : con il suo voto, il popolo italiano ha rivendicato la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, la sua gestione partecipativa e la difesa dei beni comuni.

Una necessità di riappropriazione sociale contro un mercato pervasivo che ha assoggettato l’intera vita delle persone alla valorizzazione finanziaria, relegandola nell’universo della frammentazione sociale e della solitudine competitiva.

La seconda delega ritirata è stata quella alla politica istituzionale, dopo oltre due decenni di ipnosi sociale, basata sull’informazione verticale e unidirezionale dello strumento televisivo : con il suo voto, il popolo italiano ha preso atto della crisi, profonda e irreversibile, della democrazia rappresentativa, e ha rivendicato il diritto di poter decidere sui beni comuni che a tutti appartengono.

Riproporre con diktat autoritario le politiche di privatizzazione, come ha fatto il Governo Berlusconi, con la copertura politica di un’opposizione in stato comatoso, l’assenso delle cosiddette “parti sociali” e la benedizione del Presidente della Repubblica, significa voler far finta di non capire ciò la straordinaria esperienza del  movimento per l’acqua ha rappresentato: la fine di un ciclo politico e culturale e l’avvio di una inversione di rotta, dentro la quale il nuovo linguaggio dei beni comuni diventa, da mera costruzione teorica, pratica sociale e di conflitto.

A questo proposito, tanto il mondo politico istituzionale –di governo e di opposizione- quanto il mondo dei poteri forti economico-finanziari è bene sappiano che i movimenti per l’acqua e per i beni comuni non staranno seduti a guardare.

La manovra che prevede la fotocopia del decreto Ronchi (seppur esentando il servizio idrico integrato) impatta direttamente con quanto la maggioranza assoluta degli italiani ha deliberato con il voto referendario : per questo verrà impugnata, nelle forme e nei modi più opportuni, davanti alla Corte Costituzionale.

E, per quanto riguarda l’acqua, nessuno si illuda che basti un decreto che –bontà sua- la esenta dal nuovo tentativo di consegna forzata all’appropriazione privata : la doppia vittoria dei SI ai quesiti referendari ha detto chiaramente che l’acqua va sottratta al mercato e che la gestione del servizio idrico non dovrà prevedere profitti.

Ciò significa che le tariffe vanno obbligatoriamente ridotte della quota relativa alla remunerazione del capitale investito e che, territorio per territorio, la gestione dell’acqua deve uscire dalla forma societaria della SpA ed essere affidata alla gestione partecipativa dei cittadini, dei lavoratori e delle comunità locali.

Se questo non è ancora chiaro, sarà la mobilitazione dei movimenti per l’acqua, a livello nazionale e territoriale, ad esplicitarlo nei prossimi mesi.

Senza sconti per nessuno e con la consapevolezza di essere i custodi del voto referendario e della diffusa domanda di democrazia.

Sarà un autunno caldo quello che sta arrivando : servirà molta acqua per rinfrescare le lotte.

Marco Bersani (Attac Italia)

 


Il referendum cancellato

Non volevo credere ai miei occhi quando ho visto, già depresso per una manovra che si commenta da sé, che il ministro Fitto avrebbe messo a punto una norma che che prevede la messa a gara dei servizi pubblici locali (ad eccezione dell’acqua). La norma prevede che le gestioni in house, salvo quelle con valore economico inferiore a 900.000 euro, debbano cessare entro il 31 marzo del 2012. Un vero déjà vu.

Un vero déjà vu. Fitto era già cofirmatario del decreto Ronchi, quello che (la maggior parte dei media sembrano averlo già dimenticato), la maggioranza assoluta del popolo italiano ha abrogato due mesi fa rispondendo sì al primo quesito referendario. La struttura del nuovo provvedimento, che non porta più la firma di Ronchi soltanto perché quest’ultimo, grazie al cielo, non è più al governo, è identica a quella della legge abrogata dal popolo sovrano. Un obbligo di messa a gara a data certa, ossia proprio quella struttura che tutti in Italia hanno capito avere un impatto devastante sul valore di quanto si vuole vendere. Non più l’acqua ma cespiti importanti del patrimonio pubblico come i trasporti locali, l’organizzazione della raccolta rifiuti e tutti i restanti servizi locali di rilevanza economica che verrebbero svenduti con un impatto drammatico sul valore del nostro patrimonio pubblico. Con l’eccezione dell’acqua, il contenuto del nuovo provvedimento è a sua volta identico a quello del Ronchi che, come ben noto, non riguardava soltanto l’acqua ma (stava scritto sull’intestazione della scheda n. 1 cui hanno risposto sì circa 27 milioni di elettori) le «Modalità di affidamento e gestione servizi pubblici locali a rilevanza economica. Abrogazione».
Insomma sta succedendo esattamente quanto temevo. L’esito referendario è stato svuotato (complici le opposizioni) del suo valore costituente e ridotto ad una mera questione tecnica legata alla sola gestione dell’acqua. La vera inversione di rotta relativa alle privatizzazioni (e liberalizzazioni camuffate) richiesta dal popolo non è stata interpretata politicamente da nessuno (ad eccezione del solo De Magistris a Napoli) L’esito di questo imperdonabile vuoto nell’interpretare il cambiamento di sensibilità politica nazionale è che impunemente il governo Berlusconi (al posto di andarsene a seguito del voto sul legittimo impedimento) impone (pare sotto dettatura dei poteri forti europei) una manovra che, con scelta politica deliberata, fa strame del patrimonio pubblico e dei beni comuni, sacrificandoli sull’altare della crescita. Ma il popolo aveva detto che i trasporti pubblici ed i rifiuti, non meno dell’acqua, devono essere governati in modo ecologico, sociale e sostenibile, nell’interesse comune e non in quello dei soliti poteri finanziari.
Il governo si fa beffe, in modo palesemente incostituzionale, della volontà sovrana chiara, espressa solo due mesi fa rispetto al primo (e più votato) quesito referendario che era contro il decreto Ronchi-Fitto. Che il referendum non fosse limitato all’acqua lo aveva abbondantemente detto anche il fronte del no in campagna elettorale!. Personalmente ho contribuito a redigerne il quesito e ho partecipato alla sua difesa di fronte alla Corte Costituzionale il 12 gennaio. La Corte era stata chiarissima nel ribadire che ogni quesito costituiva un referendum separato rispetto agli altri. La Corte aveva inoltre acclarato che Il primo quesito aveva come intento politico quello di riequilibrare il rapporto fra pubblico e privato nella gestione dei servizi pubblici locali che, ad avviso dei promotori, il decreto Ronchi-Fitto aveva stravolto tramite l’obbligo di messa a gara.
Quanto sta succedendo è di una gravità politica giuridica e costituzionale inaudita. A soli due mesi da un voto popolare espresso si ripropone il provvedimento abrogato negli identici termini di forma e di sostanza. Sul piano giuridico, se il governo avesse deciso ieri di privatizzare l’acqua non ci sarebbe stata alcuna differenza. L’Europa non può imporre ad un paese membro provvedimenti incostituzionali. Questo si sarebbe dovuto rispondere a Trichet e Draghi.
Il Presidente Napolitano ha adesso un dovere costituzionale di intervenire su questo punto. Il fronte di difesa dei beni comuni non può fare lo sconto a nessuno.

Ugo Mattei (Il Manifesto 14/08/2011)

Articolo di Bevilacqua: Una crisi senza classe, tratto da Il Manifesto

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