Incontro verso il referendum per l’ACQUA


Locandina dell'iniziativa

Intervengono:
Ugo Mattei (Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua – Docente di Diritto civile all’Università degli studi di Torino) e
Roberto Spini (Comitato Sì Acqua pubblica – Attac Firenze),

Strappiamo al mercato beni e diritti!
…Trasformiamo ogni rivolta in vittoria!

È passato meno di anno da quando le piazze del nostro paese si riempivano di banchetti di raccolta firme per richiedere il referendum sulla ripubblicizzazione del servizio idrico nazionale, così come succedeva nelle nostre facoltà grazie al lavoro dei collettivi universitari.
E’ stata indubbiamente la più grande mobilitazione di forze sociali, per estensione ed efficacia, che si sia vista negli ultimi anni nel nostro paese e il risultato ottenuto, al di là di ogni ragionevole previsione, ne è una chiara testimonianza: 1,4 milioni di firme
I referendum, promossi dal Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e da un’ampia coalizione sociale che si è costituita come “Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune”, costituiscono lo strumento costituzionale di cui disponiamo per fermare la loro privatizzazione, abrogando la legge Ronchi e l’art. 154 del DLgs 152/2006 (limitatamente alla parte relativa all’adeguata remunerazione del capitale investito). Dopo l’abrogazione di tali articoli si potrà avviare un percorso che porti all’effettiva ripubblicizzazione dei servizi pubblici locali e del servizio idrico integrato, e si potrà eliminare la possibilità di fare profitti sull’acqua.
Perché è importante parlarne in Università? La privatizzazione dei beni comuni riguarda l’acqua ma anche l’atmosfera e il clima, i semi, i farmaci, il dna e…la conoscenza. Vediamo una certa analogia nei processi con cui le società private si stanno appropriando dell’acqua con ciò che sta avvenendo coi saperi. Il “caso” vuole che la legge 133, la finanziaria dei clamorosi tagli alle Università pubbliche, proseguiva la privatizzazione dei servizi pubblici in generale, compresi quelli idrici ovviamente.
I beni comuni sono per definizione un diritto inalienabile dell’intera umanità e corrispondono a diritti fondamentali dell’uomo. Può il mercato, che è amorale, erigersi a garante di tali diritti? Il mercato ha come fine la massimizzazione dei profitti, non certo la garanzia di un servizio per l’intera popolazione; la vendita di una merce crea inevitabilmente distinzioni sociali rispetto agli acquirenti interessati al consumo. Servizi e merci vengono venduti sul mercato e comprati dai consumatori in linea con la propria disponibilità economica, ma i beni comuni sono essenziali ad una vita umana degna e non può esservi esclusione sociale rispetto ad essi.
I ripetuti attacchi alla conoscenza, bene comune dell’umanità, mirano ad una sottomissione di questa alle logiche neoliberiste e privatistiche, esattamente allo stesso modo dell’acqua. L’analogia di questa minaccia esige una risposta unitaria, per questa ragione i nostri collettivi studenteschi partecipano al movimento per la ripubblicizzazione dell’acqua e sostengono al campagna referendaria “L’acqua non si vende”.
Lotteremo ancora per la ripubblicizzazione dell’acqua e la riappropriazione della comunità alla gestione di un suo bisogno primario, con la stessa forza con cui intendiamo riappropriarci del diritto ad una formazione critica e di qualità affrancata da qualsiasi logica privatistica e di profitto.
Strappiamo al mercato beni e diritti!
Trasformiamo ogni rivolta in vittoria!

organizzato da:
Collettivo di Lettere e Filosofia A*R
&
Studenti di Sinistra

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Odio gli indifferenti

Odio gli
indifferenti.
Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente
uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è
vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.


L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.


L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera  passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò
che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza,
all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi
solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle  conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano:
se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio,  sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza,
del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.


I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di  programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.


Odio gli
indifferenti
anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze
virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi
si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato
perché non è riuscito nel suo intento.

Vivo,
sono partigiano.

Perciò odio chi non parteggia,

odio gli indifferenti.

Antonio Gramsci, 11 febbraio 1917

 



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