Leggendo i giornali, sentendo i tg di qualsiasi rete, ascoltando le condanne che verranno da tutti i partiti politici potremmo immaginare che la Val di Susa sia stata veramente invasa da una mandria di vandali patentati, che avevano come unico obiettivo quello di divertirsi distruggendo qualcosa o tirando due sassi.
La maggior parte dell’opinione pubblica poi si allineerà a questo “pensiero”, compresi alcuni di quelli che giudicano sbagliato costruire la Tav, che si vedranno proporre nei prossimi giorni uno scenario contrapposto di due tipologie di manifestanti: la famigliola allegra e pacifista da una parte e il black block straniero, drogato, anarchico, antagonista dall’altro.
Due mondi contrapposti, che non si conoscono, che non si intersecano, che non rivendicano gli stessi diritti e la stessa ideologia… Ma siamo proprio sicuri?
E’ impossibile per chi è abituato a partecipare alle manifestazioni e a fare attivismo sociale e politico, riuscire a capire come mai chi reagisce agli attacchi della politica, delle istituzioni, spesso sferrati attraverso i lacrimogeni ed i manganelli delle forze armate e di polizia, venga sempre dipinto come una persona pericolosa. Ma dovrebbe sembrare altrettanto difficile che in una società come quella in cui viviamo ci sia qualcuno che si senta sempre tutelato da delle forze dell’ordine che non hanno neanche il diritto di pensare se quello che stanno facendo sia giusto o sbagliato, che eseguono semplicemente ordini impartiti, grado dopo grado dai personaggi che questo paese lo stanno rovinando, svolgendo tra l’altro un compito che troppo spesso li diletta.
Ma forse il problema è che gli italiani hanno la memoria troppo corta, tanto da non ricordarsi episodi di violenza da parte della polizia nei confronti di giovani, vecchi, donne, da soli o in gruppo, italiani o extra-comunitari, autori di reati o semplici cittadini che esprimono dissenso.
Ma se non è un problema di memoria allora la situazione è più grave!
Cosa è che nelle menti degli italiani rende legittima la quotidiana violenza della polizia e delle istituzioni? Cosa porta a giustificare l’adozione, solitamente per primi, di metodi che poi si vanno a contestare dall’altro lato? E’ più grave essere pagati per lanciare fumogeni cancerogeni ad altezza d’uomo con appositi attrezzi a spese del contribuente, o cercare di difendere se stessi o una valle lanciando un sasso contro una schiera di uomini armati di qualsiasi tipo di oggetto di difesa e di attacco?
Di queste domande ce ne sarebbero tante altre, ma le risposte non arrivano, se arrivano sono agghiaccianti. Ma sia la popolazione moderata, che il potere politico dovranno prima o poi fare i conti con le contraddizioni che giornalmente portano avanti. Fin tanto che queste occasioni non sono frequenti e sono riconducibili ad episodi isolati, il potere riesce a marginalizzarli, il cittadino medio si può sentire tranquillo e il dissidente viene “equamente” punito. Ma sembra che piano piano il numero di persone che questo non lo trova giusto sia maggiore, e che anzi comincia attivamente ad attaccare questo sistema. A Terzigno, in Abruzzo, in Val di Susa, a Roma il 14 Dicembre, la gente, e non la sola area anarchica, o antagonista, o dei centri sociali come si tende a chiamare qualcosa che si vuole ghettizzare (anche se non ci dovrebbe essere niente di male a fare parte di nessuna delle suddette), ha cominciato a ribellarsi, anche fisicamente, ad un sistema indegno, e all’unica forza che volente o nolente deve accettare il confronto, la forza dell’ordine. Questo non vuol dire che si ha lo scontro come obiettivo, vuol dire anzi che si è disposti ad accettare lo scontro se qualcuno si interpone tra noi e i nostri diritti. Che non si è più disposti, davanti ad una minaccia di violenza fisica, a rinunciare ad un diritto, a contestare qualcosa che non va bene.
Concludiamo questa riflessione con tante altre parole in bocca e nel cuore, con tanta rabbia per chi, attraverso i media che controlla, gestisce o possiede, diffonde una finta realtà, ma anche con chi, non si sa per quale ragione, a questa realtà vuole credere ogni giorno.
Collettivo di Lettere e Filosofia*