Assedio al Consiglio d’amministrazione dell’ARDSU #NataledalVicini

PRESIDIO ALLE 17 IN VIALE GRAMSCI, DAVANTI ALLA SEDE DELL’ARDSU DURANTE IL CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE CHE VOTERà SULLE RESIDENZE UNIVERSITARIE… NON LASCIAMOCI SFRATTARE, SFRATTIAMO IL VICINI!

 

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Lettera aperta a Maria Carrozza – di Piero Bevilacqua

Piero Bevilaqua è Professore ordinario di storia contemporanea alla Sapienza, fondatore dell’Istituto meridionale di Storia e di Scienze sociali (Imes), che tuttora presiede, e la rivista Meridiana, di cui è direttore.

Tra le sue opere ricordiamo Le Campagne nel Mezzogiorno tra fascismo e dopoguerra: il caso Calabria (Einaudi, Torino 1980), Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento ad oggi (Donzelli, Roma 1993), La mucca è savia, Ragioni storiche della crisi alimentare europea (Donzelli, Roma 2002), nonché i recenti La terra è finita. Breve storia dell’ambiente (Laterza Roma-Bari 2006) ed il recente Elogio della Radicalità (Laterza, Roma-Bari 2012)

Cara ministra Carrozza,
ho nutrito qualche speranza per le sorti della nostra università quando lei ne ha assunto il dicastero. Ho immaginato che – pur all’interno di un governo che tradiva il mandato degli elettori e nell’auspicata brevità del suo mandato – potesse intervenire almeno su un aspetto limitato, ma importante della vita dei nostri atenei. Un aspetto, come chiarirò più avanti, che non comporta alcuna spesa, realizzabile in tempi brevissimi con un dispositivo di legge. L’ho sperato perché lei è donna di scienza ed è per giunta pisana, come Galilei.
E dunque rammenterà bene il motto cui si ispirava l’Accademia del Cimento: «Provando e riprovando ». Dove quel “riprovando”, come lei ben sa, non significa “provare di nuovo”. Questo in genere lo credono gli economisti neoliberisti – per lo meno quelli che hanno notizia dell’Accademia del Cimento – i quali immaginano che le loro ricette falliscono e producono effetti dannosi, perché male applicate e non perché errate in sé e alla prova dei fatti. Per tal motivo vogliono “riprovare” a imporle. Mentre il “riprovare” galileiano significa rigettare, rifiutare come erronea una ipotesi che ha mostrato la sua fallacia alla verifica sperimentale.
Ora lei aveva (e ha) la cultura e gli strumenti per cominciare a riprovare il Grande Errore, sperimentato in Europa negli ultimi 15 anni, che sta distruggendo le nostre università. E il Grande Errore – che ha certificato il suo universale fallimento nella Grande Crisi in cui ci dibattiamo – ha la sua radice nell’idea di assoggettare l’intero sistema formativo alle stringenti necessità competitive delle imprese. L’università ridotta ad azienda, secondo la perfetta esemplificazione popolare. Tale pretesa, imposta a suon di leggi, senza alcun confronto e dibattito con la comunità dei docenti e degli studenti, ha cambiato radicalmente la vita delle nostre università. Essa ha dissolto ogni preoccupazione del legislatore per la qualità dell’insegnamento e della ricerca, per il contenuto delle discipline, il modo di insegnarle (non solo nell’università, anche nella scuola), e ha trasferito tutta l’attenzione riformatrice, con una furia normativa senza precedenti, sul versante della “produttività”, dei risultati e del loro asfissiante controllo. Non più il che e il come, ma il quanto. Quanti “prodotti” ( è questo il termine che si usa ormai per nominare libri e saggi) sono stati pubblicati dai docenti, quanti laureati producono le varie Facoltà, in quanto tempo, per quale mercato del lavoro? Il mostro burocratico dell’Anvur, inefficiente e sbagliato, è figlio di questa idea. Ad essa ubbidiscono ormai da anni gli sforzi quotidiani di docenti, amministratori, studenti impegnati nel compito di rendere misurabili e giudicabili le loro prestazioni. E sotto lo stesso cielo basso si muove ora la sua trovata del Liceo breve. In Italia, in maniera particolare, la pressione del Ministero e dei rettori ha un carattere manifestamente punitivo, come ha ben mostrato Gaetano Azzariti (il manifesto, 12.11.2013). Sicché, paradosso già evidente in vari ambiti sociali, la cultura neoliberista, che critica l’intromissione dello stato e il peso delle burocrazie, opera in direzione esattamente contraria. Non c’era mai stato, nelle nostre università, tanto Stato e tanta burocrazia quanto oggi.
Lentamente il modello storico dell’università cambia, da istituzione che realizza ricerca e fornisce insegnamento, diventa il luogo in cui si fa insegnamento (sempre meno alimentato dalla ricerca) e amministrazione. Affannosa amministrazione di norme sempre nuove. La pretesa del legislatore di controllare l’economicità di ciò che si studia e di ciò che si insegna non solo ruba tempo ed energia agli studi e alla ricerca. Non solo ha portato a sottrarre risorse rilevanti alle discipline umanistiche considerate poco utili all’economia del paese. Non solo tende a impedire per l’avvenire progetti di grande respiro, che richiedono lavoro di lunga lena da parte dei giovani studiosi.

Lei immagina oggi, cara ministra, un giovane Fernand Braudel che investe anni di ricerca per scrivere il suo vasto affresco sul Mediterraneo, non avendo alcuna certezza della sua stabilità, mentre i suoi colleghi vincono i concorsi pubblicando brevi articoli? Non è solo questo, che è già grave: un piano di rimpicciolimento delle figure intellettuali delle generazioni venture. Avanza l’idea perniciosa di piegare il mondo degli studi e della ricerca a una pianificazione di tipo “sovietico”, nel tentativo di stabilire non solo quali discipline, ma anche quali professioni sono da privilegiare e quali da bandire.
Il numero chiuso, gli sbarramenti che tante Facoltà innalzano per impedire le iscrizioni dei giovani, annunziano questa crescente subordinazione della formazione delle nuove generazioni alle richieste mutevoli e contingenti del mercato del lavoro. Ma qui c’è una frontiera invalicabile che l’università deve difendere. Debbo proprio ricordarle che l’università già ubbidisce, in maniera mediata, alla divisione sociale del lavoro del nostro tempo? Per quale ragione le nostre Facoltà laureano ingegneri, chimici, medici se non per rispondere con saperi specialistici al mercato del lavoro di una società industriale avanzata? Ma tra le imprese e l’università sino a oggi ha operato l’autonomia di quest’ultima. Oggi la tendenza dispiegata è di piegare le università a criteri di economicità aziendale e rozzamente produttivistici. Il modello irresistibile è quello delle imprese di ricerca biotecnologiche, quotate in borsa, che finalizzano gli studi alla produzione di brevetti e alla realizzazione di profitti. Sapere per fare danaro. Ma questa linea decreterebbe la morte del sapere libero quale finora l’abbiamo conosciuto, il taglio delle radici della nostra civiltà. E si tratta per giunta di una tendenza miope e miserabile anche sotto il profilo economico.
E’ la cultura che crea l’economia, non il contrario. Occorre capovolgere il pensiero neoliberista. Non sono le ragioni transitorie di un capitalismo selvaggio e senza regole che devono comandare gli orizzonti della ricerca. L’università non deve solo ubbidire al mercato del lavoro, lo deve anche creare. Il sapere deve inventare nuovi scenari e professioni possibili. Carlo Cattaneo, nel suo secolo (forse più lungimirante del nostro), usò una suggestiva metafora per indicare l’apporto che la scienza e il dinamismo urbano avevano dato alla sviluppo delle nostre campagne. «La nuova agricoltura – scriveva – nasce nelle città ». E’ questa oggi l’altezza della sfida. L’università non solo deve creare la “nuova economia”, deve contribuire a una idea di società possibile, perché quella che ci lascia in eredità il capitalismo tardonovecentesco è in rovina.
E allora, cara ministra, anche senza risorse lei, col concorso di tanti parlamentari, potrebbe azionare la leva capace di avviare un processo di liberazione della nostra università. Bandisca i crediti come criterio di misurazione delle discipline. Tolga dalle nostre Facoltà e dalle menti degli studenti l’ossessione dell’accumulo di esami e lezioni come mezzi finanziari per realizzare un profitto. Restituisca ai saperi la loro dignità, li rifaccia diventare Letteratura italiana, Filosofia teoretica, Antropologia culturale, Storia contemporanea…Oggi sono numeri di una banca virtuale. Favorisca il ritorno di una didattica orientata da materie fondamentali e complementari con cui gli studenti possano programmare con semplicità il loro curriculum. A molti può sembrare una richiesta minimale, soprattutto alla luce della drammatica scarsità di risorse in cui l’università è stata gettata. Non è così. Occorre strappare almeno in un punto l’ordito totalitario del pensiero unico. Da qui si può partire per cominciare a rovesciare il Grande Errore, che è prima di tutto culturale, trovare lo slancio per cancellare a poco a poco la montagna burocratica sotto cui sta soffocando il mondo degli studi. Anche così la rivendicazione per nuove risorse e investimenti in sapere può ritrovare energia e prospettiva.
Conosciamo, cara ministra, l’obiezione possibile a tale iniziativa: i crediti sono uno strumento di valutazione ormai utilizzato negli atenei d’Europa. La risposta che viene d’istinto è: non c’è alcun obbligo a imitare la stupidità sol perché essa viene praticata a scala continentale. Quella meditata dice: si possono far corrispondere ai vari insegnamenti delle numerazioni per l’interfaccia con quelli europei e il problema è risolto. Perché non dovremmo essere noi italiani a far uscire dal sonno dogmatico gli atenei d’Europa? Dopo tutto, l’università è nata da noi. Avremmo qualche ragione storica e autorevolezza per avviare la liberazione dell’università europea dall’abiezione e dalla stupidità dell’economicismo.

www.amigi.org

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Presidio Lunedì 2 contro la chiusura delle Residenze universitarie!

RITROVO ORE 14.45 ALLA CASA DELLO STUDENTE DI VIA SAN GALLO

IL DIRITTO ALLO STUDIO NON VA IN VACANZA! Il comunicato degli studenti alloggiati nelle Residenze Universitarie:

“Da quest’anno  il DSU ha proposto la chiusura delle residenze durante il periodo natalizio, costringendo gli studenti alloggiati a scegliere tra sgomberare le loro stanze e partire per le vacanze o restare nella propria casa pagando 90 euro (poi scesi ad una cifra simbolica di 10 euro). La notizia ha scatenato la reazione degli studenti, i quali si sono visti piombare dall’alto, con un preavviso veramente brevissimo, una decisione riguardo la quale non hanno avuto alcuna voce in capitolo. La motivazione addotta dai dirigenti è stata la necessità di razionalizzare i costi per “il bene” degli studenti. Nella sostanza si tratta, però, della negazione di un diritto. L’assemblea di Caponnetto è fermamente convinta che, al di là di qualsiasi prescrizione presente in un bando, il diritto allo studio valga 365 giorni l’anno. Non è pensabile che l’esigenza di risparmio dell’azienda (non giustificata, peraltro, da nessuna necessità reale da parte della stessa) ricada proprio su coloro che l’azienda stessa dovrebbe tutelare. Chiedere a degli studenti dei sacrifici in termini di tempo e/o denaro significa non preoccuparsi di creare condizioni sostanziali di parità per coloro che sono privi di mezzi economici.

Questo provvedimento,inoltre, è stato preso senza considerare le diverse esigenze e culture presenti all’interno delle residenze: obbligare studenti musulmani, buddisti, taoisti, animisti, atei a festeggiare una ricorrenza cristiana è, di fatto, una contraddizione con lo stesso principio di multiculturalismo che il DSU in più occasioni ha sbandierato!

Nei prossimi giorni si terrà un’altra assemblea tra tutte le residenze in previsione dell’incontro richiesto dai dirigenti lunedì .

L’assemblea di Caponnetto ha deciso che farà all’unanimità richiesta per la permanenza ma senza pagare. Il diritto allo studio non va in vacanza!”

L’EVENTO FACEBOOK

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CL e Banco Alimentare, l’altra faccia della carità

Domani sarà la giornata della Colletta Alimentare, uno degli strumenti di consenso maggiore di Comunione e Liberazione: questa raccoglie elemosina dalle stesse banche che ricevono soldi pubblici per il loro salvataggio e che strozzinano famiglie ed aziende in difficoltà; riceve prodotti non vendibili da supermercati e marchi come la Nestlé, che sfruttano lavoratori e lavoratrici e che producono più di quanto serva, alimentando il consumismo e lo spreco.

Segnaliamo quest’articolo di Chiara Lodi Rizzini sulle banche alimentari, un’ottimo approfondimento.

Sulle ombre nella gestione economica del Banco Alimentare e le critiche sull’appoggio a banchi alimentari gestiti da tali organizzazioni religiose: articolo del UAAR

Su Giap, invece, sempre su quest’argomento ci fu un gran dibattito: lo segnaliamo perchè in poche righe colpisce nel segno: «Sorry, noi a Banco Alimentare non diamo niente, non perché non vogliamo dare ai poveri (lo facciamo in altri modi), ma perché è di CL.
E che CL, con tutti i soldi che ramazza ogni giorno, si faccia bella anche con quelli della nostra spesa al supermercato, beh… No, grazie.»

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Il Papocchio della Statale

papa-benedicto-xvi-gay-state-coverI Collettivi e le associazioni studentesche organizzano iniziative d’ogni genere dentro l’Università, vivificandola, rendendola luogo di confronto e discussione sui temi dell’attualità. Per portare avanti queste attività alcuni collettivi ricorrono anche ai finanziamenti che l’Ateneo mette a disposizione a quegli studenti che decidono di dedicare del tempo a questa causa.
Questo è garanzia di libertà del sapere, pluralità e vivacità dell’istituzione accademica. Ma se questi finanziamenti diventano vincolati ad una compatibilità? Se dovessero venir condizionati a certe tematiche, a certi modi di affrontarle?
Bene, questo è quello che è successo il 19 Novembre all’Università Statale di Milano. Il 19 Novembre, la Commissione incaricata di selezionare e ammettere al finanziamento i progetti di attività culturali presentati dalle associazione studentesche ha stralciato i finanziamenti erogati per l’iniziativa del Collettivo GayStatale, il Cineforum “Omosessualità e religione” ed ha costretto alle scuse il collettivo studentesco “per il volantino utilizzato, un’immagine negativa ed eccessivamente provocatoria”,”per aver urtato la sensibilità di molti all’esterno e all’interno dell’Ateneo”.
Nessuno stupore se questo fosse avvenuto alla Cattolica e non alla Statale, seppur è noto come Comunione e Liberazione sia radicata nelle istituzioni del Nord Italia, dalla Regione alle Facoltà, e come all’interno di quest’ultima dòmini la spartizione di fondi, posti di lavoro e spazi (è “tentacolo” di CL anche Lista Aperta). Ricordiamo ad esempio le vicende della Cuem, libreria universitaria chiusa e occupata da alcuni studenti per riportarla alla vita: il Rettore è arrivato a portare la polizia in assetto antisommossa per sgomberarla a suon di cariche, non sia mai che una libreria libera possa mettere in cattiva luce la Cusl (gestita da studenti di CL).
Esprimiamo solidarietà al Collettivo GayStatale, diffondendo la locandina incriminata (che ci sarà di male nel rappresentare un ex-Monarca dello Stato Vaticano con del fard ed un velo di trucco sugli occhi, alla moda delle corti Seicentesche?), convinti che i malati non siano gli uomini truccati ma gli “ipersensibili” ed intolleranti urtati da questo manifesto.

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