La nostra Assemblea si colloca in una fase caratterizzata dalla novità assoluta del governo tecnico di Monti, un governo non eletto, espressione del grande potere economico, funzionale all’applicazione dei dettami della BCE tramite pesanti politiche di massacro sociale e tagli ai diritti. Politiche imposte dall’alto anche tramite la cancellazione delle ultime forme di “democrazia” esistenti (il rifiuto di ogni forma di confronto con le realtà sociali, dell’applicazione dell’esito dei referendum di Giugno, e la pesante repressione in Val Susa sono solo alcuni esempi). Di fronte a questi pesanti attacchi alle fasce più deboli della popolazione non si verifica, tuttavia, una risposta sotto forma di movimenti d’opposizione che, dopo la delusione del 15 ottobre, hanno difficoltà nel mobilitarsi e nel parlare un linguaggio comune, così come non si verifica una diminuzione della fiducia nel governo, che invece mantiene stabili i suoi consensi.
Queste politiche vengono imposte utilizzando il ricatto del debito pubblico e promuovendo la sua diminuzione come obiettivo da perseguire attraverso tagli ai diritti e distruzione del welfare. In quest’ottica il debito pubblico si caratterizza come il nodo centrale della fase che stiamo attraversando. Un debito odioso e illegittimo generato a causa della bassissima tassazione effettuata sui profitti e sulle rendite finanziarie e per via della socializzazione di debiti privati. Debito che si ripercuote su ogni aspetto della società e sui soggetti più discriminati, tra cui donne e soggetti LGBTIQ, per i/le quali risulta ancora più difficile rivendicare diritti sotto il ricatto del debito.
Per questi motivi in questo momento ci sembra assolutamente necessario integrare nelle nostre riflessioni tali percorsi di analisi e di lotta, anche all’interno dell’università, luogo paradigmatico delle disuguaglianze nei confronti delle giovani donne e delle persone e LGBTIQ.
Le donne, nel momento in cui vengono a mancare determinati ammortizzatori sociali, sopratutto in fase di crisi, sono relegate – tramite i piani di conciliazione – al lavoro di cura (non retribuito) interno alla famiglia, al fine di supplire a queste mancanze. L’università è strumento di rafforzamento nella società di simili disuguaglianze: da vent’anni ormai negli atenei italiani ci sono molte più studentesse che studenti, ma nonostante esse rappresentino il 60% dei/lle laureat*, sono in minoranza all’interno del corpo accademico e nella dirigenza universitaria. Sono inoltre le prime a perdere il lavoro e le ultime a trovarlo, percepiscono salari nettamente inferiori rispetto agli uomini e lavorano in condizioni di precarietà maggiore (elementi tristemente confermati dalle indagini AlmaLaurea e Istat, anno dopo anno). Le persone LGBTIQ, invece, condannate all’invisibilità, sono sempre più impiegati in settori lavorativi precari e soggetti ad iper-sfruttamento. Inoltre la tradizione politica di stampo cattolico garantisce i pochi ammortizzatori sociali alle famiglie eterosessuali, lasciando di fatto fuori le persone lgbtqi, per questo ancora più povere di garanzie e vulnerabili di fronte al’attuale crisi.
Le riforme degli ultimi dieci anni hanno trasformato l’Università in una fabbrica di precarietà: i movimenti che abbiamo costruito nascevano proprio dalle trasformazioni provocate dall’intreccio delle controriforme del 3+2 e dei crediti con quelle della precarietà lavorativa, le leggi delle 46 forme contrattuali, dell’aumento dell’età pensionabile e della cancellazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
Oggi l’imposizione del debito si abbatte sulla fabbrica di precari con effetti devastanti.
Tramite la logica del debito si è imposta una drastica diminuzione dei finanziamenti (con la l.133 del 2008 a scuola e università sono state tolte le stesse cifre previste come spesa pubblica per l’Alta Velocità in Val di Susa: 20 miliardi!); aumenti diffusi delle tasse, che già l’anno scorso superavano i limiti legislativi in più di trenta atenei; un’effettiva negazione del diritto allo studio, resa già evidente nel vissuto quotidiano delle nostre facoltà tramite diminuzione dei servizi, chiusura di biblioteche, mancanza di aule e infrastrutture adeguate, accorpamenti e veri e propri tagli di corsi di laurea e insegnamenti, tagli alla didattica ed alle borse di studio. Gli effetti di una simile combinazione di attacchi sono sempre più evidenti e peggiori di anno in anno: la disoccupazione dei neolaureati è quasi raddoppiata in tre anni, i salari medi scendono di anno in anno, solo un terzo degli occupati non lavora in nero o in forma precaria, senza contare che quasi il 60% svolge mansioni dequalificate rispetto al proprio percorso di studi. È poi necessario ricordare che questi trend peggiorano, e di molto, concentrando l’attenzione sui laureti del sud Italia e soprattutto sulle donne. In tempi di dibattiti sull’abolizione del valore legale del titolo di studio, questi dati ci dicono che il suo valore effettivo è già ampiamente diverso a seconda di dove e con che sesso si nasce, e i provvedimento proposti in merito servono ad affermare l’oggettiva necessità di differenziare e segmentare ancora di più la forza lavoro precaria che deve uscire dalle università inserite nel libero mercato.
In base a questi ragionamenti assumiamo il rifiuto del pagamento del debito pubblico come fronte di resistenza centrale per fronteggiare l’attacco portato avanti dal governo e le politiche di austerity imposte a livello europeo. È evidente che i soggetti cui attualmente si vorrebbe far pagare la crisi non siano in debito, ma siano creditori di diritti, garanzie e soprattutto ricchezze, che sono state negate e attaccate dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni in Italia e nel mondo.
“Siamo il 99% e siamo in credito” è il rifiuto delle politiche di tagli e la pratica politica quotidiana di rivendicazione e riappropriazione di tutti i diritti quotidianamente negatici, dal diritto allo studio nelle sue varie forme, al diritto ad un welfare per gli studenti e le studentesse che pagano a caro prezzo gli aumenti di tasse sui consumi (come agli inizi del secolo, piuttosto che tassare rendite e profitti, si tassano i consumi diretti!), dei carburanti, delle bollette, degli affitti, dei trasporti.
Sulla scia del dibattito sull’esigenza di opporsi nettamente alle politiche antisociali promosse in nome del pareggio di bilancio e del pagamento del debito illegittimo, abbiamo posto come ordine del giorno l’audit pubblico, un’arma per opporsi a questa ingiusta logica. Commissioni d’inchiesta sui Debiti e sulle ricchezze delle singole università perennemente in crisi, audit metropolitani per le amministrazioni cittadine e le municipalizzate sull’orlo del fallimento e della privatizzazione, e soprattutto per la revisione del debito pubblico nazionale.
Vi è infatti un’evidente relazione, in questa fase, tra le privazioni che quotidianamente viviamo nelle nostre vite di studenti e studentesse e la retorica sul pagamento del debito con cui queste privazioni vengono imposte. In questi anni l’audit si sta rivelando uno strumento di democrazia diretta per scardinare la retorica del pensiero unico che vede il pagamento del debito come passaggio oggettivamente necessario nell’economia neoliberista in crisi. La crescita dei comitati locali per l’audit in Francia, gli esempi di rifiuto del debito che vengono dagli audit sudamericani (Argentina, Ecuador) e islandesi, dimostrano che “audit” si traduce contemporaneamente in pratica democratica e rifiuto netto delle politiche neoliberiste su tutti i fronti.
Nell’ottica di una battaglia contro il pagamento del debito gli studenti e le studentesse non possono pensare di mobilitarsi da soli/e. Reputiamo fondamentale l’interazione con altri soggetti aventi questa caratterizzazione e con questo spirito ospiteremo la Conferenza Internazionale di Rivolta il Debito che si terrà il 24 Marzo all’Università La Sapienza e che vedrà la partecipazione di Eric Toussaint, membro del Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo ed autore di Debitocracy, in quanto momento di formazione sull’argomento ed importante spazio per una discussione pubblica ed ampia sul tema del non pagamento del debito.
Nell’ottica di una rinascita di un movimento di opposizione sociale riteniamo paradigmatico l’esempio offertoci dal movimento No Tav, un movimento spontaneo, autorganizzato, democratico e in grado di esprimere una forte radicalità coniugata ad un grande consenso a livello pubblico, e in grado di lanciare date di mobilitazione ampiamente appoggiate sull’intero territorio nazionale, come l’intensa settimana di mobilitazione in risposta all’invasione dei presidi del 27 febbraio che ci ha visti impegnati/e in tutte le città, o lo sciopero della Valle che si terrà prossimamente e che si caratterizza per essere uno sciopero autoconvocato dal basso ed in grado di portare ad una diffusione di pratiche di lotta che possano declinare le rivendicazioni del movimento No Tav sui diversi territori a seconda delle diverse specificità, portando la solidarietà ai Valligiani nel migliore dei modi, ovvero attraverso la riproposizione di molteplici lotte territoriali per gli stessi diritti che a gran voce vengono richiesti in Valle.
Aderiamo con convinzione al corteo del 31 Marzo a Milano, come momento in cui ricomporre un fronte largo di opposizione al governo e alle politiche di austerity, e da cui rilanciare una mobilitazione che finora in Italia stenta a crescere e che è fondamentale per dare maggior rilievo alla rivendicazione di non pagamento del debito.
AteneinRivolta – Coordinamento Nazionale dei Collettivi