Iran 1978 – Italia 2011

“La rivoluzione mise fine al regno dello scià. Distrusse il palazzo e seppellì la monarchia. Cominciò con un errore, apparentemente banale, commesso dal potere imperiale. Un piccolo passo falso, e la sorte dello scià fu segnata.

Di solito le cause delle rivoluzioni vengono cercate nei dati di fatto concreti: la miseria generale, l’oppressione, gli abusi scandalosi di potere. Si tratta di un punto di vista corretto, che tuttavia resta lacunoso. Situazioni del genere si verificano infatti in centinaia di paesi, eppure le rivoluzioni sono rare. Sono indispensabili altri due elementi: la consapevolezza di essere miseri e oppressi, e la convinzione che miseria e oppressione non fanno parte dell’ordine naturale del mondo. Per strano che possa apparire, in questo caso non basta l’esperienza diretta, per dolorosa che possa essere: ci vogliono anche le parole e le idee chiarificatrici. Infatti i tiranni temono più che le bombe e i pugnali, il libero scambio di parole sulle quali non possono esercitare un controllo: parole clandestine, dissenzienti, prive di uniformi di gala e di timbri ufficiali. Ma qualche volta sono proprio le parole ufficiali dell’autorità, con tanto di timbri e divisa a provocare le rivoluzioni.

Occorre distinguere la rivoluzione dalla rivolta, dal colpo di stato e dal rovescio di palazzo. Colpo di stato e rovescio di palazzo si possono programmare, la rivoluzione mai. L’ora dello scoppio coglie tutti di sorpresa, perfino coloro che aspirano alla rivoluzione restano stupiti davanti a quella forza naturale che all’improvviso si scatena, distruggendo tutto ciò che trova sul proprio cammino. E’ una distruzione talmente spietata che talvolta finisce per annientare anche gli ideali che l’hanno prodotta.

Si sbaglia pensando che le nazioni vittime della storia (e sono la maggioranza) tengano sempre presente la possibilità della rivoluzione, vedendovi la soluzione più semplice. Le rivoluzioni sono un dramma, e l’uomo tende istintivamente a evitare le situazioni drammatiche; tant’è vero che, anche quando vi si trova dentro, cerca a tutti i costi una via d’uscita pur di ristabilire la pace e, soprattutto, la quotidianità. Ecco perchè le rivoluzioni non durano mai molto a lungo. La rivoluzione è l’ultima risorsa: se un popolo decide di riccorrervi, accade solo perchè si è convinto per lunga esperienza, che si tratta dell’unica via d’uscita. I tentativi precedenti di cambiare le cose sono finiti tutti sconfitti, e le altre procedure hanno tutte fallito.

Di solito le rivoluzioni vengono precedute da uno stato di esaurimento generale e, al tempo stesso, di violenta aggressività. Il potere non sopporta una nazione che gli dà ai nervi; il popolo non sopporta un potere che gli è divenuto odioso. Il potere ha speso tutta la sua credibilità e si ritrova a mani vuote; il popolo ha perso anche l’ultima briciola di pazienza e stringe i pugni. La tensione cresce, l’oppressione si fa sempre più schiacciante e dà luogo a una psicosi del terrore. L’esplosione è ormai vicina, la si respira nell’aria.

Per quanto riguarda la tecnica di lotta, la storia conosce due tipi di rivoluzione: quella d’assalto e quella per assedio. Il destino e il successo della rivoluzione d’assalto vengono determinati dalla violenza d’urto iniziale. L’essenziale è colpire duro e occupare il maggior territorio possibile, dato che questo tipo di rivoluzione, anche se il più violento, è senz’altro il più superficiale. L’avversario in effetti è stato sconfitto, ma ritirandosi, ha mantenuto parte delle sue forze e non tarderà a contrattaccare, costringendo i vincitori a far marcia indietro. Quindi più violento è il primo colpo rivoluzionario, maggiore sarà lo spazio che, malgrado i successivi negoziati, la rivoluzione potrà salvare. Nelle rivoluzioni d’assalto la fase più radicale è la prima; dopo subentra un lento ma inesorabile indebolimento, fino al punto in cui le due parti – la ribelle e la conservatrice – raggiungono un compromesso definitivo. Invece, nella rivoluzione per assedio, di solito il primo colpo è debole e non lascia presagire il cataclisma incombente. Dopo un pò gli eventi precipitano e si fanno drammatici: i ribelli diventano sempre più numerosi, le mura che proteggono il potere pian piano si incrinano e crollano. Il successo della rivoluzione per assedio viene deciso dalla determinazione, dalla forza di volontà, dalla capacità di resistere dei rivoltosi: teniamo duro un altro giorno! Coraggio, un ultimo sforzo! Alla fine i cancelli cedono, la folle irrompe e celebra il suo trionfo.

E’ sempre il potere a provocare la rivoluzione. Non certo di proposito. Tuttavia il suo stile di vita e di governo finisce per diventare una vera e propria provocazione. Ciò avviene quando tra i personaggi dell’élite si instaurano il senso dell’impunità e la convinzione di poter fare qualunque cosa, di potersi permettere tutto. E’ un’illusione, certo, ma non priva di giustificazioni razionali. Per molto tempo sembra realmente che i membri dell’élite possano fare quello che vogliono: per quanti scandali e illegalità commettano la passano sempre liscia. Il popolo pazienta e tace: non si è ancora scrollato di dosso la paura, non si rende conto della propria forza. Al tempo stesso, però tiene minuziosamente conto dei torti subiti, tirerà le somme al momento debito. La scelta di questo famoso momento è uno dei massimi enigmi della storia. Perchè proprio quel giorno, piuttosto che un altro? Perchè mai quell’elemento scatenante, e non un altro? Fino a ieri il potere si permetteva gli eccessi più estremi senza che nessuno fiatasse. “E oggi che avrò mai fatto,” chiede stupito il sovrano, “da farli imbestialire così di colpo?” Che cosa ha fatto? Ha abusato della pazienza del popolo. Ma dove si pone il limite di questa pazienza, come lo si individua? La risposta sarà diversa per ogni singolo caso, sempre che si riesca ad appurare qualcosa di attendibile. Un dato comunque è certo: solo i sovrani che conoscono l’esistenza di tale limite, e sanno rispettarlo, possono contare di restare a lungo al potere. Ma sono pochi.”

Ryszard Kapuscinski, Shah-in-Shah, traduzione italiana di Vera Verdiani.

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