Do you remember Riforma Gelmini?
Il 30 dicembre il ddl Gelmini sull’università è diventata legge (n.240). Nei mesi precedenti tutta Italia era stata scossa da sussulti di radicale dissenso e opposizione della maggioranza degli studenti. Grandi giornate di mobilitazione locale avevano rimesso all’ordine del giorno la lotta contro la devastazione privatistica dell’università, mentre le immagini del corteo del 14 dicembre a Roma in contemporanea al voto di fiducia al governo avevano inserito la tematica universitaria nella più generale rabbia di una generazione espropriata delle sue aspirazioni e stretta fra l’attacco plateale e arrogante ai diritti portato avanti dal potere economico e la sordità di una politica fatta di paiettes, macchiette e personaggi da Basso Impero.
Il movimento studentesco è riuscito a rinviare l’approvazione della riforma, salendo alla ribalta della desolante scena politica come unica forma radicale di opposizione alle politiche del governo, senza però riuscire a scongiurarne la definitiva promulgazione.
Nella realtà però la legge 240 è una scatola vuota, in assenza dei decreti attuativi e soprattutto in assenza di un ulteriore passaggio applicativo che non avviene a Roma, centralmente, ma in ogni singolo ateneo, localmente. Infatti le linee guida della riforma, soprattutto nelle parti decisive che riguardano governance e struttura organizzativa, devono essere concretamente messe a regime da una commissione istituita in ciascuno ateneo, chiamata “Commissione Statuto”. Questo organo ha il delicato compito di adeguare lo statuto di ogni università al contenuto della riforma. La commissione deve essere composta da dodici membri nominati da senato accademico e consiglio di amministrazione, due studenti e il rettore stesso e ha a disposizione nove mesi per portare a termine il proprio lavoro pena il commissariamento da parte del ministero. Le modalità di nomina dei membri, siano essi docenti o studenti, e di svolgimento dei lavori dell’organo variano da ateneo ad ateneo.
Prescindendo dalle specificità locali, appare lampante però il ruolo fondamentale che ricopre la Commissione Statuto nella gestione effettiva dell’applicazione della riforma e ancora meno accettabile la fretta e l’assenza di forme di partecipazione non corporativa o di controllo realmente democratico con cui i lavori della commissione vengono ovunque portati avanti.
Come Collettivo crediamo quindi che la questione della Commissione Statuto debba essere messa all’ordine del giorno in ogni facoltà, e che si debba fare di tutto per rilanciare la mobilitazione contro le politiche del governo. Esse, che piaccia o no, hanno abbandonato il terreno parlamentare per giungere in quello, che sia più neutro o più accidentato dipende dalla soggettività studentesca, dei singoli atenei. La battaglia degli studenti contro la legge Gelmini deve dunque spostarsi all’interno della Commissione Statuto (o forse sarebbe meglio dire contro la Commissione Statuto) perché è qui che si gioca la partita della concreta e reale applicazione dei provvedimenti governativi.
A Firenze come in quasi tutti gli altri atenei i lavori della commissione sono già iniziati. Proprio per questo appare ancora più urgente iniziare un lavoro politico nelle facoltà che ridia fiato alle voci che si oppongono alle politiche di privatizzazione dell’università e di imbrigliamento del sapere critico. Una reale, e vitale, opposizione alla meccanica trasposizione dei capisaldi della riforma in norme fattivamente operanti all’interno di ogni ateneo non può venire né dall’iniziativa di ristretti gruppi di militanti né dall’azione dell’esigua rappresentanza studentesca all’interno dell’organo, ma soltanto da reali forme di mobilitazione della grande massa degli studenti. Riusciremo a sabotare la Commissione Statuto e a incepparne, in un modo o in un altro, i lavori soltanto se riusciremo a innescare un processo di condivisione collettiva e di partecipazione studentesca larga e consapevole.
Per questo crediamo che il punto di partenza di questo lavoro sia informare il più possibile gli studenti dell’esistenza stessa della commissione e discutere circa gli strumenti più efficaci per contrastarla politicamente.