Nelle seguenti slides sono mostrati alcuni luoghi comuni perno della propaganda che ha giustificato tagli e riforme degli ultimi anni, messi a confronto con i fatti e con i numeri.
Spesa, risultati, efficienza: miti, leggende e realtà dell’università italiana ^clicca qui^
“I fuori corso sono un costo sociale”: quando Profumo venne incaricato al Ministero d’Istruzione, Università e Ricerca con queste parole d’ordine palesava quanto antitetica fosse l’idea di università del Governo, e dell’ideologia che rappresenta, rispetto alla nostra, esplicitata nel libro/manifesto “Studiare con Lentezza”.
L’idea che ci porta a parlare della “lentezza” come un valore risponde a una duplice motivazione. Innanzitutto si basa sul rigetto dell’università attuale, configurata oramai come una catena di montaggio tutta schiacciata sul momento dell’uscita: si studia per entrare nel mondo del lavoro, ci si iscrive per uscire al più presto ed il “ritardatario”, il fuoricorso, viene bollato come sfigato, subisce il pressing della famiglia, dei docenti e da ora in avanti, grazie alla spending review montiana, anche dell’aumento delle tasse.
Quella che era un’università di massa conquistata dai movimenti studenteschi ed operai, al momento del riflusso di quest’ultimi si è trovata immediatamente assediata da una lunga serie di controriforme che l’hanno snaturata, portandola ad essere il contrario di quello che studenti ed operai chiedevano: allora reclamarono uno strumento d’emancipazione dell’individuo, un luogo dove produrre benessere per la società intera, ci ritroviamo adesso con un laureificio dequalificato nei contenuti, costoso per gli studenti, inutile al fine di trovare un qualche lavoro sicuro e/o ben retribuito, ed infine spolpato dai padronati locali che ne privatizzano la ricerca (e dal 2013 siederanno nei Consigli di Amministrazione, potendo quindi decidere direttamente del futuro di didattica e ricerca).
Il secondo riguarda l’immagine del mondo che abbiamo: rifiutiamo l’”università di corsa” perché rifiutiamo lo stile di vita imposto dal capitalismo contemporaneo, ossessionato dalla superficialità dei rapporti umani e dalla mercificazione di ogni aspetto della vita.
Ci arroghiamo il diritto di studiare con lentezza perché vogliamo conoscere, formarci criticamente, e non solo ottenere crediti in cambio dell’apprendimento di nozioni usa e getta. Vogliamo vivere le università perché così potremo confrontarci coi nostri compagni di studio, ampliando le nostre vedute e scoprendo che siamo davvero tutti sulla stessa barca, ma che questa barca è costantemente sotto attacco dai corsari neo-liberisti.
L’ultimo di questi attacchi è la cannonata del “patto di stabilità”, patto sottoscritto senza chiederci nessun parere, e che decreta la sentenza di morte per decine di atenei, che subiranno quindi un notevole ridimensionamento. La finanziaria approvata giusto un giorno prima di sciogliere le Camere decreta infatti una somma per il Fondo di Finanziamento Ordinario che è di almeno 300 milioni inferiore al fabbisogno minimo di funzionamento degli Atenei (fonte M.i.u.r.)
Come da anni il movimento studentesco ripete, è un attacco totale e che richiede una risposta totale e radicale. L’austerity richiede un’accelerazione del processo che già negli anni ’90 è stato iniziato: taglio della spesa sociale, riforma in senso privatistico dell’università, privazione dei diritti conquistati da decenni di lotte operaie.
I governi di centro-sinistra e centro-destra hanno disegnato, tassello dopo tassello, un quadro che con la riforma Gelmini del 2010 e la ratificazione dei nuovi statuti d’Ateneo ha preso una forma coerente visibile anche ai più ciechi; adesso questi ulteriori tagli sono la goccia che farà traboccare il vaso, imponendo la riorganizzazione del sistema universitario nazionale esattamente come le precedenti riforme prefiguravano: diciamo definitivamente addio all’università di massa egualitaria e che permette a tutt* di accedere ai saperi e di intraprendere una carriera di ricerca o insegnamento. Già dal primo decennio degli anni 2000 abbiamo assistito ad una omogeneizzazione formativa verso il basso, ovvero un’università aperta sì alle masse, ma che inculca competenze standard funzionali all’apparato della società, scaricando i costi della formazione dalla spesa pubblica al singolo studente, indebitato con le banche. D’ora in poi vedremo invece una diminuzione del numero dei Dipartimenti, a causa dei tagli e del turn-over dimezzato; la disuguaglianza fra Atenei “virtuosi” (ovvero quelli che riprodurranno la classe dirigente e l’ideologia dominante) ed i laureifici si divaricherà sempre di più; aumenterà di conseguenza il tasso di abbandono e diminuiranno le immatricolazioni (già in calo da due anni, invertendo una tendenza decennale); chi deciderà di proseguire troverà invece tasse sempre più alte (infatti l’aumento è generalizzato, non solo per i fuori corso) e borse di studio sostituite da prestiti d’onore, che producono gli effetti che queste slide ci mostrano…
Insomma, se non saremo noi a muoverci e dire una volta per tutte “basta!”, nessuno ci regalerà più niente, all’università come nella società governata dall’austerity.