Sono uscite le linee guida del neo-ministro Profumo, ex Rettore del Politecnico di Torino, colui che ospitò il G8 sull’Università. Che non ci sia una sostanziale differenza fra il passato Governo di centrodestra e l’attuale “Governo tecnico” è oramai evidente ai più, dalla riforma del lavoro in via di approvazione alle grandi opere, fino alla gestione del dissenso come problema di ordine pubblico, ma questo, leggendo i curriculum e le prese di posizione dei componenti del governo, non avrebbe dovuto stupire nessuno.
Ma se nella sostanza parliamo di un altro governo dall’impronta liberista e, checché ne dica il Premier, poco attento all’equità, i metodi “poco concertativi” hanno portato ad approvare senza molte modifiche né mediazioni durissime riforme, come quella delle pensioni o del pareggio di biliancio in Costituzione, ben più dure di quanto un Governo Berlusconi avrebbe potuto fare.
Fin dall’insediamento di Profumo sono in ballo molti provvedimenti in ambito universitario: abolizione del valore legale della laurea, liberalizzazione delle tasse, D.lgs 437 (in perfetta continuità con la riforma Gelmini). Ma su tutto ciò ben poco è apparso su giornali e gazzette: il Ministro Profumo sa bene che su queste proposte potrebbe alzarsi una levata di scudi sia da parte degli studenti che dai settori più corporativi dell’università. Così risulta molto più efficace gettare un po’ di fumo negli occhi portando all’attenzione ben altri temi: guardare alle linee guida di Profumo pubblicate celermente su giornali e media d’ogni genere, significa concentrarsi su un dito che indica una luna degradata, svuotata di significato ed ulitilità, per il singolo e per il bene collettivo. Aprire oggi, dentro questa università, una discussione sull’importanza o il classismo del fattore “merito” serve solo a deviare lo sguardo sui veri problemi dell’università: qua non sono in discussione metodi di valutazione né dei docenti né degli studenti, ma si sta solo costruendo un terreno fertile per riforme che potrebbero cambiare una volta per tutte l’università di massa, costruendo un’università di serie A accessibile a pochi “eletti” che potranno pagare tasse stratosferiche e sobbarcarsi debiti onerosi, ed un laureificio per tutti gli altri.
Quanti di noi, prima di un esame sull’ennesimo corso noioso, nozionistico o magari completamente fuori dai propri argomenti di studio, hanno riflettuto, dubbiosi, sull’utilità di una laurea triennale o magistrale in questa università? Dov’è la soddisfazione nello studiare e frequentare decine di corsi standard, senza possibilità di approfondimento e sviluppo di criticità, rincorsi fra scadenze didattiche ed amministrative?
Chi merita un università così?
Dentro un’università senza diritto allo studio, che costa salati sacrifici a chi proviene da famiglie a basso reddito, senza qualità, dove la pianificazione dei corsi di laurea si basa solo su principi anagrafici (quali docenti andranno in pensione e quali rimarranno), senza democrazia interna, dove i baroni si spartiscono corsi, borse di ricerca e di dottorato; insomma , dentro questa università post-Bologna process, come possiamo parlare di merito senza prima di tutto mettere in discussione questo modello fallimentare?
Rivendichiamo la nostra università, costruiamo l’università sociale!