Assemblea pubblica… Oltre il 15 Ottobre

UNITED FOR GLOBAL CHANGE: L’OCCASIONE DEL 15 OTTOBRE

Nelle nostre intenzioni, la giornata del 15 ottobre doveva essere un grande momento di avvio (ripetiamo, avvio) di un processo di mobilitazione collettiva, permanente, che nascesse dal basso, dalla libera condivisione e dall’autodeterminazione di ogni singolo.

Una riappropriazione collettiva e stabile dello spazio pubblico sempre più urgente visto il precipitare della crisi economica e sociale, il carattere epocale e cruciale di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi, la risposta che a questa crisi sta dando il sistema capitalista. Un processo ancora più urgente se si pensa agli enormi spazi di conflittualità e di liberazione che si aprono in un momento in cui ogni certezza precostituita sembra essere spazzata via. In altri paesi questo processo ha portato ad inedite forme di mobilitazione e coinvolgimento della società civile nella lotta politica, dalla Spagna al Portogallo fino agli Usa.

Le notizie sul 15 ottobre dal mondo fanno crescere in noi la convinzione che questo processo si sarebbe potuto innescare anche in Italia proprio in quella giornata e invece così non è stato.

L’irriducibile complessità della giornata del 15 ottobre ci obbliga a riflessioni approfondite e pure a mantenere la calma, il sangue freddo, a reprimere sul nascere ogni, opposta, ma simmetrica, reazione emotiva di fronte a quello che è successo sabato, ai commenti di molti, così come all’utilizzo strumentale che di quella giornata si sta facendo da più parti.

A Roma hanno manifestato più persone di qualsiasi altra capitale europea, questo è il dato che per noi più di tutti sintetizza l’occasione perduta. Sì perché alle nove o alle dieci di sabato sera eravamo tutti e tutte a casa. Per questo motivo ci domandiamo: su cosa si misura la radicalità di una pratica? Noi siamo convinti che si misuri sulla capacità di raggiungere un obiettivo politico, di comunicarlo e farlo percepire come praticabile a livello di massa.

Indubbiamente, la giornata del 15, è stata qualcosa di diverso, forse di più, sicuramente di meno.

Sicuramente l’organizzazione della giornata è stata deficitaria e soprattutto non ha tenuto conto delle variabili complesse che sono venute a precipitare in quel pugno di ore di un pomeriggio di inizio autunno e in quel paio di chilometri che divide Via Cavour da San Giovanni.

Eppure, insistere su questo ci appare insoddisfacente e in una certa misura nasconde una vera e propria malafede: insomma, “quando il dito indica la luna, l’imbecille guarda il dito”. E visto che non crediamo che tutti siano imbecilli, qualcuno si tappa gli occhi e vuole guardare il dito.

Alla vigilia del 15, non bisognava essere eccessivamente profetici per prevedere che la natura composita della manifestazione sarebbe stata particolarmente adatta al perfetto giochino mediatico e poliziesco della divisione fra buoni e cattivi. Divide et impera, insomma. Di fronte a tutto questo appariva vitale, per l’economia stessa di una mobilitazione che doveva essere vista come nascente e non come un semplice fuoco di paglia utile soprattutto per innescare dinamiche fratricide e meccanismi repressivi ben oliati, disinnescare questa possibilità.

Purtroppo, è successo l’esatto contrario.

 

UN’OCCASIONE PERDUTA?

Quasi un anno fa, il 14 dicembre, scontrarsi con chi difendeva un despota e un palazzo corrotto era un obiettivo politico che in tanti hanno sentito proprio. Nessuno ha avuto la sensazione di essere stato sovradeterminato da pochi manifestanti quel giorno, perché era chiaro a tutti da dove veniva e dove voleva arrivare quella rabbia. Sabato questo non è successo. Siamo scesi in piazza con le nostre tende, per rimanerci, per occupare una piazza e aprire uno spazio pubblico di mobilitazione permanente. Un bisogno che abbiamo ritrovato nei volti delle centinaia di persone che abbiamo incontrato sabato con le tende in spalla.

La piazza San Giovanni che avevano in mente una parte degli organizzatori non era quello che secondo noi serviva, non superava l’inutile ritualità, non avrebbe messo in campo elementi realmente utili alla costruzione del movimento necessario.

Allo stesso modo però, non è stato utile nemmeno quanto accaduto da via Cavour a via Merulana, quando azioni in classico stile minoritario hanno cambiato il volto di un’intera manifestazione.

Nelle fragilità della giornata del 15 era manifesto il grado estremamente avanzato raggiunto da un processo che possiamo definire di polarizzazione dei movimenti sociali. Questo vede da una parte la comparsa di istanze di protesta alquanto semplicistiche e spesso prive di una seppur rozza consapevolezza politica e dall’altra il sempre maggiore peso reale di strategie sbagliate e controproducenti che sbagliano la forma per la sostanza, il mezzo per il fine, che impongono il proprio volere attraverso metodi avanguardistici.

Anche alla luce di quello che è successo negli ultimi giorni e nelle ultime ore bisogna assolutamente invertire la rotta di questo processo, ampliare i percorsi di condivisione e discussione, innescare la consapevolezza politica della reale posta in gioco. Per questo abbiamo proposto altro, quell’altro che si sta dando ovunque tranne che in Italia. Una proposta di mobilitazione permanente che ci appare la più radicale, perché inedita, perché permanente, perché riproducibile, perché democratica!

 

DIVIDE ET IMPERA, STRUMENTALIZZAZIONE E REPRESSIONE

Chiaramente è differente il nostro giudizio su quanto accaduto a Piazza San Giovanni, dove migliaia di persone, soprattutto giovani, hanno resistito e si sono opposti alle cariche scellerate e criminali delle forze dell’ordine, le quali non hanno esitato a caricare con mezzi blindati ed idranti un’intera piazza.

Ma come da copione, il giorno dopo è subito partito il massacro mediatico che porta inevitabilmente alla divisione fra buoni e cattivi, mescolando in un pentolone le azioni lungo il percorso del corteo, gli scontri di Piazza San Giovanni, black bloc, infiltrati e via dicendo. I giornali chiedono condanne e denunce pubbliche dei violenti. Una denuncia pubblica la vogliamo fare noi: Polizia, Carabinieri e Finanza hanno tenuto un comportamento criminale, con le cariche e i caroselli di blindati su una piazza composita ed eterogenea, dimostrando la volontà di colpire indiscriminatamente l’intero movimento.

Per questi motivi non abbiamo dubbi sull’esprimere la nostra piena solidarietà a chi da giorni sta subendo irruzioni e perquisizioni in casa, a chi viene sbattuto in prima pagina e consegnato al massacro mediatico, a chi è stato arrestato e subirà la violenza di un sistema sempre più repressivo.

Condanniamo nel modo più assoluto la repressione in atto così come le annunciate restrizioni alla possibilità di manifestare liberamente le proprie idee come anche il modo in cui la totalità dei mezzi di comunicazione di massa ha strumentalizzato le vicende e distorto i fatti.

Ci opporremo con tutte le nostre forze alle proposte di Maroni e Di Pietro su nuove leggi speciali contro le manifestazioni e contro chi manifesta. Come al solito si vuole ridurre un problema sociale, frutto della crisi economica e della crisi della rappresentanza politica, ad un problema di ordine pubblico. Come al solito la ricetta parla di repressione e di limitazione degli spazi democratici e di dissenso.

Ci sembra inoltre doveroso riaffermare che il vero scandalo in un paese come il nostro, la vera violenza, la vera sopraffazione sta nelle dinamiche di risposta alla “crisi” che il sistema sta dando. La violenza è del sistema prima che contro il sistema. Non è estremamente violento un sistema che impone i provvedimenti fondamentali del governo attraverso lettere riservate di organismi del tutto privi di forme di democrazia e controllo da parte delle persone? Non è estremamente violento che a pochi mesi da una consultazione referendaria che ha indicato chiaramente quale fosse la sensibilità pubblica su alcuni temi, sugli stessi temi si impongano provvedimenti che vanno nella direzione opposta? Non è violento un sistema che attraverso l’assolutizzazione del profitto uccide quotidianamente, come nel caso delle cinque lavoratrici in nero di Barletta?

 

OLTRE IL 15 OTTOBRE, PER LA MOBILITAZIONE PERMANENTE

Da oggi vogliamo chiudere il capitolo 15 ottobre e guardare avanti. Vogliamo ripartire dalle centinaia di migliaia di persone scese in piazza e che hanno dimostrato che in Italia è presente una larghissima opposizione sociale.

Questo movimento ha bisogno di potersi incontrare, di discutere liberamente, di condividere forme e contenuti. Questo movimento ha bisogno di poter sedimentare lentamente teorie e pratiche nuove e non di ripeterne di precostituite.

Questo movimento che sta nascendo non ha bisogno né di guardie né di avanguardie, né di abiure/dissociazioni né di indottrinamenti. Non ha bisogno di candidati premier né di generici “indignati” che si affrettano a solidarizzare con la repressione in atto. Questo movimento deve legittimarsi e non imporsi. Deve riuscire a catalizzare la rabbia e l’indignazione sociale in un percorso condiviso, ampio e partecipato, in un soggetto che sappia contrastare, contestare e sconfiggere ogni giorno le politiche capitaliste e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questo movimento va dunque costruito.

Ripartiremo dalle nostre facoltà, dai luoghi di studio e di lavoro. Ripartiremo dalle alleanze sociali che in questi anni hanno visto scendere in piazza gli studenti al fianco dei lavoratori, dei movimenti per i beni comuni, dei migranti, delle donne, dei precari. Siamo scesi in piazza gridando “Noi il debito non lo paghiamo”. Vogliamo trasformare questo slogan in realtà e far pagare la crisi a chi l’ha provocata!

 

COLLETTIVO DI LETTERE E FILOSOFIA*

ATENEINRIVOLTA FIRENZE

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