Documento finale dell’Assemblea Nazionale di AteneinRivolta

Il perdurare della crisi sistemica del capitalismo ci mostra oggi l’aspetto più feroce di un’economia che individua nella compressione dei diritti e delle libertà individuali, nello smantellamento del pubblico e dello stato sociale, nella privatizzazione dei beni comuni e nella devastazione dei territori, nell’allargamento dei fronti di guerra l’unica possibile via d’uscita alla crisi. Di fronte a questo scenario, i margini di riforma e di governabilità del capitalismo, se mai fossero esistiti, appaiono oggi definitivamente chiusi.

I processi rivoluzionari di Tunisia ed Egitto e l’espandersi delle rivolte in tutto il mondo arabo ci indicano una precisa strada da percorrere: quella dell’irruzione dei soggetti sociali in lotta nella scena politica di un Paese e del rovesciamento dei rapporti di forza come unica possibilità per il cambiamento e la trasformazione.
C’è un importante elemento che accomuna le rivolte nordafricane ai grandi movimenti europei degli ultimi mesi: è l’emergere di una nuova soggettività fortemente conflittuale, composta da giovani, studenti e precari. Ovunque abbiamo visto come i giovani siano stati i primi a ribellarsi contro le politiche di Austerity, contro lo smantellamento dell’università pubblica e l’aumento delle tasse universitarie, contro la riforma delle pensioni al fianco dei lavoratori, come è accaduto in Francia.

Il protagonismo e la conflittualità di piazza del 14 dicembre sono l’ulteriore emblema di una generazione che, spossessata del proprio futuro e del proprio presente, non ha intenzione di restare a guardare in silenzio.
Parlare di organizzazione del soggetto studentesco e dei giovani precari significa dunque assumere una sfida che le grandi rivolte europee e i processi rivoluzionari nord africani ci pongono oggi innanzi. Una sfida che non pretende affatto di imbrigliare straordinari fenomeni di massa all’interno di recinti organizzativi, perché per loro natura i movimenti travalicano qualunque forma precostituita. Ma al tempo stesso, come abbiamo scritto nell’appello con il quale abbiamo lanciato questa assemblea nazionale, pensiamo che la rivolta non sia solo spontanea ma ha bisogno di essere stimolata, costruita e dunque organizzata.

Per avere un approccio quanto più rigoroso è necessario ripartire dall’analisi della nuova composizione sociale degli studenti e dei giovani oggi, alla luce dei processi che hanno trasformato i percorsi di formazione ed il lavoro giovanile nell’ultimo mezzo secolo.

In questo periodo storico assistiamo infatti ad una costante crescita della popolazione studentesca universitaria che in Italia passa da 402 mila unità nel 1965-66 a 1 milione e 800 mila nel 2009-2010. Ancora più spettacolare appare la crescita degli studenti nel Regno Unito che tra il 1980 e il 2002 passano da 800 mila a oltre 2 milioni. Nello stesso ventennio, nell’Europa a 15, gli studenti più che raddoppiano, passando da 6,5 milioni a 13,5 milioni.
Questa tendenza è certamente determinata da un insieme di fattori.

Lo “sviluppo generale delle forze produttive” e i progressi scientifici e tecnologici nelle società industriali e postindustriali necessitano sempre più di una forza lavoro altamente qualificata che gli istituti tecnici e professionali non sono in grado di fornire. L’università pubblica non ha più dunque la funzione di formare la futura classe dirigente bensì forza-lavoro precaria e ricattabile che assolva i bisogni di flessibilità di cui il mercato necessita.
Un altro fenomeno che certamente ha contribuito alla crescita della popolazione universitaria è la crescente disoccupazione giovanile e dunque il tentativo – o per meglio dire la speranza – di sottrarsi ad un lavoro subalterno e precario grazie ad un livello più alto di formazione.

Se questo dato è vero, non dobbiamo però dimenticarci che gli studenti universitari rappresentano oggi solo il 40% di chi consegue un diploma, e questo mostra quanto l’università sia ancora lontana come prospettiva e possibilità per molti giovani in Italia.

Le contraddizioni prodotte dall’università appaiono oggi sempre più evidenti.
Gli studenti si iscrivono convinti che con il conseguimento della laurea miglioreranno la propria collocazione sociale ma questa speranza si scontra da subito con la miseria di un’università produttrice di precari in formazione piuttosto che intellettuali e di un mercato del lavoro in grado di offrire solo precarietà e sfruttamento.
L’intento del Processo di Bologna di adeguare gli studi universitari alle nuove esigenze del mercato del lavoro si è risolto in un nulla di fatto : il 60% dei laureati infatti trova un lavoro senza alcuna attinenza con ciò che ha studiato.
E’ altresì fallito il principio ispiratore delle riforme del doppio ciclo di laurea (3+2), che ambiva a selezionare già all’interno dello stesso percorso formativo la futura classe dirigente e la futura massa precaria. I dati sulle iscrizioni alle specialistiche raccontano un fallimento annunciato: nessuno si ferma alla laurea triennale e i tempi di permanenza all’università si sono persino allungati.

L’università costruita in dieci anni di riforme, lontana dall’essere strumento di mobilità sociale, diventa così vera e propria fabbrica di precarietà. Una precarietà presente già all’interno del sistema formativo, attraverso il sistema dei crediti, i tempi e i modi di studio, la scarsità di servizi e l’assenza di sussidi economici. La merce che questa particolare fabbrica sforna da anni è quella più ricercata in tempi di crisi del capitale: forza-lavoro dequalificata, da utilizzare a intermittenza (la chiamano flessibilità) o tramite lavori in nero, con una formazione ultra-specifica ma non specializzante.

Dalla formazione si è passati così all’informazione di nozioni senza che sia in atto un reale processo cognitivo. Non è più importante cosa si studia ma come si studia. Una strada che dall’istruzione porta all’addestramento.
Ma non finiscono qui i paradossi dell’università contro-riformata.

Da qualche anno i processi di riforma in atto sembrano voler invertire la tendenza di costante crescita della popolazione studentesca attraverso l’attacco al diritto allo studio, l’aumento delle tasse universitarie ed in generale scaricando i costi dell’università sugli studenti, anche tramite vere e proprie forme di indebitamento.

Espulsi dagli studi universitari, espulsi dal mercato del lavoro: questa è la realtà dei giovani oggi.

Gli ultimi dati ci parlano infatti di una disoccupazione giovanile che in Italia sfiora il 30% ed aumenta in maniera preoccupante la percentuale dei cosiddetti “inattivi”, ovvero dei giovani che hanno smesso di cercare un’occupazione. Gli stessi dati ci indicano come per i giovani oggi un lavoro stabile e garantito sia un miraggio più che una prospettiva.

Nel nostro paese i giovani hanno sempre più difficoltà a lasciare il nucleo familiare: fra i 18 e i 29 anni, il 71,4% delle giovani vive con i genitori rispetto all’83,2% dei coetanei maschi.

Le differenze salariali tra laureati e non laureati si è ridotta e il salario medio dei laureati a 3 anni dalla laurea è inferiore al salario medio italiano (1240 euro). Ancora maggiore è la distanza dal salario medio se parliamo di donne laureate, che come mostrano i dati dell’indagine Alma Laurea 2010, percepiscono uno stipendio medio netto di 921 euro mensili contro i 1134 euro dello stipendio medio maschile.

Nella miseria di prospettive permangono le differenze di genere tra uomini e donne. Di fronte ad un livello di istruzione più elevato per le giovani donne, tra i 18 e i 29 anni il tasso di occupazione femminile è pari al 35,4%, contro il 48,6% degli uomini. Assistiamo dunque da oltre dieci anni alla diffusione di forme di lavoro flessibili e allo smantellamento delle tutele sul lavoro che le donne hanno per prime sperimentato: pensiamo alle lettere di licenziamento in bianco che ad oggi vediamo ritornare sullo scenario lavorativo e al part-time, contratto che avrebbe dovuto favorire la conciliazione tra lavoro salariato e lavoro domestico ma che negli anni abbiamo visto come sia diventato un obbligo per molte donne imposto dal datore di lavoro. Ancora oggi nei contratti registrati part-time, la percentuale di donne giovani è tripla rispetto a quella maschile (31,2% contro 10,4%).

Se questo è lo scenario nel quale si collocano oggi i giovani, non è solamente il futuro ad esserci negato ma lo stesso presente.

Report workshop “Organizzazione”
La necessità di affrontare il tema dell’organizzazione dei giovani diviene oggi, di fronte alla distanza siderale creatasi fra i sindacati, i partiti e gli stessi giovani, vera e propria urgenza.

E’ evidente infatti come i sindacati scontino un’oggettiva difficoltà a rappresentare e sindacalizzare le nuove forme del lavoro precario ed atipico essendo ancora basati su una vecchia ed in parte superata conformazione del mercato del lavoro. Sorge spontaneo domandarsi se e come sia possibile oggi sindacalizzare i giovani lavoratori precari e dunque progredire su un terreno di conquista di tutele e nuovi diritti.

Migliore non ci appare il rapporto dei giovani con i partiti di sinistra storicamente conosciuti.
La crisi verticale della sinistra italiana, i suoi processi di burocratizzazione, l’impermeabilità che le organizzazione politiche istituzionali hanno dimostrato nei confronti dei movimenti e delle loro spinte dal basso hanno progressivamente allontanato i giovani dai partiti. Il risultato è che oggi la gran parte degli studenti e dei giovani in rivolta non individuano nei partiti un possibile luogo di organizzazione, discussione e formazione politica.
Di fronte a tali premesse e di fronte alla complessità del problema non solo dell’organizzazione ma più in generale del riavvicinamento dei giovani alla politica, ci sembra opportuno sottolineare come non sia possibile avere risposte certe né ricette pronte per l’uso. Non esistono modelli precostituiti da applicare. La sfida è quella di cimentarsi in un qualcosa di nuovo, sperimentando collettivamente.

Per fare ciò pensiamo che sia necessario partire da ciò che siamo.
AteneinRivolta nasce nel 2008 durante il movimento dell’Onda con un sito Internet, www.ateneinrivolta.org. In questi due anni ha costruito una rete di collettivi studenteschi presenti in diversi atenei italiani, con lo scopo di superare l’estrema frammentazione che ha contraddistinto le recenti lotte studentesche e dunque di favorire processi di mobilitazione che si opponessero ai tentativi di smantellamento dell’università pubblica.

Rafforzare un progetto di organizzazione nazionale per noi oggi non significa affatto creare un’organizzazione verticista, burocratica e gerarchica, e per questo siamo contrari all’elezione della figura di un portavoce o di un coordinatore nazionale. Al contrario pensiamo che il valore di AteneinRivolta sia proprio l’autonomia e l’indipendenza delle strutture di base che lo compongono: i collettivi di facoltà.

I collettivi rispondono all’esigenza di radicamento all’interno dell’università intesa come luogo fisico, al continuo rapporto e dialogo con l’intera popolazione studentesca, alla costruzione di campagne e vertenze volte a trasformare l’università a partire dai dipartimenti e dalle facoltà.

Attraverso i collettivi si valorizzano inoltre le specificità locali dei territori che da Nord a Sud sono attraversati da differenti contesti e problematicità.

Coordinare a livello nazionale i collettivi locali risponde ad un’esigenza ben precisa: quella di non isolarsi nelle proprie mura universitarie ma avere sempre una relazione costante con altre realtà studentesche e altre soggettività in lotta.

E’ in questo senso che riteniamo oggi necessario avviare un’ipotesi di lavoro che sviluppi relazioni permanenti con collettivi territoriali di giovani, non solo studenti, che a partire dai territori costruiscono spazi di socialità e di aggregazione politica.

Altrettanto importante è il potenziamento della prospettiva di genere di AteneinRivolta. Riteniamo necessario continuare a tessere relazioni con collettivi femministi ed lgbtiq, valorizzando inoltre l’analisi che questi da anni producono su sessismo, femminilizzazione del lavoro e più in generale rapporti di potere all’interno della società.

Per rafforzare il processo di costruzione dell’organizzazione nazionale ci poniamo come obiettivi:
1) la creazione di nuovi coordinamenti locali di AteneinRivolta;
2) il rafforzamento della campagna nazionale “Attacchiamo i profitti, conquistiamo diritti” come contenitore generale delle campagne specifiche che porteremo avanti sui temi della difesa del diritto allo studio, dell’opposizione ai processi di privatizzazione dell’università e dei beni comuni, del rifiuto del nucleare e della guerra, contro la precarietà;
3) la partecipazione alla campagna referendaria per l’acqua bene comune e contro il ritorno del nucleare in Italia. Campagna che potrebbe adottare come ulteriore strumento organizzativo e di costruzione la costituzione dei comitati referendari studenteschi all’interno di scuole e università;
4) la costruzione di scadenze di mobilitazione e di lotta, da declinare sotto varie forme, sui temi dei beni comuni, del nucleare e del rifiuto della guerra;
5) l’organizzazione di controcorsi sui temi delle campagne sopra menzionate (il tema dei controcorsi è approfondito nel report del tavolo di lavoro sull’università sociale);
6) lo sviluppo di un’analisi dello stato della scuola oggi, come punto di partenza per un’ipotesi di allargamento del progetto di AteneinRivolta agli/lle studenti/esse medi/ie.

Ci poniamo inoltre come obiettivo il blocco delle commissioni per la riforma degli Statuti degli atenei volti all’applicazione della Riforma Gelmini contro la quale per mesi ci siamo mobilitati. Il blocco delle commissioni dovrà divenire strumento per il sabotaggio della Riforma approvata dal Parlamento.

Report workshop “Università Sociale”
Dequalificare sempre più la formazione e la didattica, tagliare ogni tipo di finanziamento, eliminare servizi e diritto allo studio, sono gli strumenti con cui i governi cercano di screditare la funzione sociale dell’università pubblica.
Ripartire proprio dalla visione “sociale” dell’università appare oggi la necessità per chi pratica percorsi di autorganizzazione e conflitto dentro gli atenei.

Lottare per l’Università Sociale significa oggi contrapporsi ai processi di definanziamento, privatizzazione e aziendalizzazione del pubblico, di cui la Riforma Gelmini e le relative modifiche statutarie sono il prossimo terreno di battaglia, in ogni singolo ateneo.

Rivendicare vecchi e nuovi diritti, servizi per il diritto allo studio che consentano alla massa di studenti e studentesse precarie di vivere e studiare senza l’ansia del presente e l’angoscia del futuro.

Consapevoli di queste difficoltà, assumiamo i controcorsi come ipotesi di lavoro per la politicizzazione del soggetto studentesco e per la produzione di un’analisi della società ormai scomparsa dai nostri dipartimenti, con cui sperimentare nuove forme di studio, discussione e crescita collettiva.

Controcorsi da costruire con tutti i soggetti (dottorandi e ricercatori in primis) che vivono, studiano e lavorano nell’università contro-riformata.
Controcorsi come strumento d’analisi dei meccanismi che stanno determinando le crisi economiche, le scelte energetiche, le strategie di guerra, l’evoluzione del diritto.
Controcorsi per l’elaborazione di un sapere fatto di analisi collettiva, di critica, di dibattito ma non solo. Non intendiamo costruire percorsi paralleli alla didattica ufficiale che si pongano nell’ottica di un riconoscimento in crediti. In questo modo, più che aggirare il sistema didattico ufficiale, il rischio è una sua valorizzazione.

Siamo convinti che fare organizzazione significhi condividere analisi e azione, riprodurre pratiche altrimenti sconnesse nell’ottica di potenziare ogni singolo percorso.
In questa direzione vanno i percorsi di riappropriazione e autogestione degli spazi universitari che come collettivi portiamo avanti in ogni ateneo. Riappropriazione di tempi e luoghi necessari per favorire reali percorsi di autorganizzazione degli studenti e delle studentesse.

Questo autunno individuavamo nella classe politica l’obiettivo delle nostre mobilitazioni contro l’approvazione della riforma, e contro le sedi del potere abbiamo diretto la nostra rivolta.
Continueremo su questa strada, denunciando, occupando e attaccando i luoghi simbolo della devastazione sociale, economica ed ecologica in atto.

Siamo consapevoli che nessun soggetto sociale, per vincere oggi, basta a se stesso.
Costruire l’università sociale significa per noi assumere in pieno la responsabilità che gli ultimi movimenti ci consegnano: quella di essere, in quanto studenti e giovani precari, strumento efficace di ricomposizione sociale delle mille rivolte che, siamo convinti, continueranno a esplodere, in Italia e non solo, negli anni più bui del neoliberismo.

Report workshop “Comunicazione e lotte”
Il ruolo dell’informazione e le modalità della comunicazione sono stati fin dall’inizio dei temi centrali per AteneinRivolta. Il nostro sito è nato col movimento dell’Onda, un movimento fortemente mediatizzato: gestire l’attenzione mediatica, ragionare su contenuti e linguaggio usato affinché il messaggio arrivasse così come l’avevamo pensato, non dover avere mediatori per trasmettere i nostri contenuti, inventare un modo nuovo ed efficace per comunicare sono state dunque alcune questioni attorno cui i nostri collettivi hanno ragionato, e anche da questo è nato il sito di AteneinRivolta.

Discutere di informazione oggi significa discutere di potere. Il potere ha negli anni allargato la propria sfera di influenza e di controllo dei mezzi di comunicazione di massa con l’obiettivo di ridurre la comunicazione a fabbrica del consenso. L’informazione non è più dunque strumento di cronaca, di diffusione di fatti ed avvenimenti, bagaglio di conoscenze in grado di favorire letture critiche degli eventi; al contrario essa appare sempre più strumento di distorsione della realtà, di capovolgimento di significati e significanti, di trasmissione del pensiero unico dominante. Ne abbiamo esempi evidenti e lampanti ogni giorno: vediamo come all’insegna della retorica meritocratica il governo abbia cercato consensi intorno alla riforma universitaria, di come si cerchi di spacciare l’energia nucleare per “energia pulita e sicura”, di come si tenti di mascherare una brutale guerra di stampo imperialista e neocoloniale parlando di “guerra umanitaria”.

Il connubio informazione-potere investe ed interroga anche le lotte ed i movimenti. E’ infatti evidente come i movimenti negli ultimi anni abbiano vissuto un forte processo di mediatizzazione, del quale possiamo leggere caratteri positivi e negativi. L’ampio spazio dato dalla comunicazione mainstream al movimento studentesco, sia durante l’Onda che nell’autunno 2010, ha certamente favorito l’espandersi della mobilitazione e la diffusione di contenuti riguardanti le ragioni della protesta. Allo stesso tempo però non possiamo esimerci da un’analisi di come vengano trasmessi e veicolati tali contenuti, di come il potere manipoli a proprio uso e consumo le mobilitazione per il perseguimento del proprio obiettivo.

In questo senso possiamo leggere, ad esempio, la manifestazione nazionale “Se non ora quando”, lanciata sull’onda dell’antiberlusconismo da un appello su l’Unità rivolto a tutte le donne “madri, figlie, nonne”, solo eterosessuali e sempre definite dal loro ruolo all’interno della famiglia. La retorica messa in campo dai media mainstream in quel contesto era tesa alla creazione di un’antitesi tra donne per bene e donne per male, ed evitava accuratamente una contrapposizione diretta alle politiche di questo come di altri governi contro le donne: attacco non utile, e anzi controproducente, per il potere. Esempio ancor più lampante è il ruolo giocato da Repubblica, che spesso ha sostenuto le mobilitazioni studentesche in ottica antiberlusconiana ma che, come accaduto dopo il 14 dicembre e la rivolta di Piazza del Popolo, ha cercato di dividere il movimento fra buoni e cattivi, perché l’esondazione di pratiche conflittuali prodottesi in quella piazza e le possibili conseguenze che esse avrebbero potuto scatenare non rientravano nei recinti fissati dalla stampa e dunque dal potere stesso. Il rischio dunque è quello non solo della manipolazione delle reali istanze dei movimenti ma anche di una “dipendenza” dei tempi della mobilitazione dai ritmi scanditi dai mainstream.

Qui sorge un altro aspetto, quello del rapporto fra autorganizzazione dei movimenti e comunicazione. La crescente mediatizzazione del conflitto e il ruolo assunto dai Social Network, spesso usati ed abusati come forme di “partecipazione virtuale” alla politica, rischiano di distogliere l’attenzione dalle forme organizzative necessarie alla costruzione, la crescita e la durata dei movimenti. Il rischio è quello di illudersi che per riempire le piazze e le strade del Paese basti ottenere spazi su quotidiani e telegiornali ed in questo modo viene meno il lavoro di radicamento e rafforzamento dei processi di autorganizzazione e soggettivazione delle lotte.

L’illusione della comunicazione “veloce” (troppo spesso vista come sinonimo di comunicazione trasparente e oggettiva) rappresenta solo una faccia della contrazione dei tempi che viviamo nei nostri ambiti di studio e lavorativi, dove il concetto stesso di velocità diventa criterio per definire la qualità di un progetto.
Inoltre, l’utilizzo dei Social Network accentua quel meccanismo di delega che riscontriamo a tutti i livelli nella società: troppo spesso, e negli ultimi anni sempre di più, la discussione virtuale si è sostituita a quella faccia a faccia; si accentua dunque sempre di più la falsa convinzione che condividere un contenuto di argomento politico o aderire virtualmente ad una manifestazione sia il nuovo modo di partecipare alla vita politica.

Tuttavia non possiamo analizzare solo gli elementi negativi di Internet. Lo sviluppo della rete rappresenta oggi un elemento di controtendenza rispetto alla mancanza di accesso delle masse alla comunicazione mainstream. La potenzialità di utilizzo di Internet da parte di chiunque, la diffusione crescente dei blog, la possibilità di pubblicare notizie ed informazioni spesso censurate dagli organi stampa mainstream rendono la rete uno strumento da non sottovalutare, poiché ancora abbastanza facilmente sottraibile al controllo del potere. Abbiamo visto come in Egitto e Tunisia i manifestanti abbiano usato i Social Network per comunicare con quel 70% di persone al di sotto dei 35 anni che vivono nei paesi del Nordafrica. Proprio questi elementi di libertà e la diffusione capillare della rete spingono il potere a limitarne gli spazi. Non è un caso che uno dei primi provvedimenti di Mubarak allo scoppio della rivolta in Egitto, oltre al blocco dei mezzi di trasporto e alla sospensione delle linee telefoniche, sia stato proprio quello di oscurare Internet e impedire l’accesso ai Social Network. Provvedimento riproposto in quei giorni da quasi tutti i governi del mondo arabo.

Siamo consapevoli quindi che la nostra comunicazione indipendente debba essere funzionale alla costruzione di spazi di partecipazione reale e non virtuale, e che sia legata a doppio filo con le lotte sociali che portiamo avanti ogni giorno.

Il sito di AteneinRivolta.org può essere uno strumento utile non solo per la diffusione indipendente dei nostri contenuti ma anche, e forse soprattutto, per mettere in connessione le lotte vive nel nostro paese e per aprire spazi di dibattito e confronto fra differenti soggettività.

AteneinRivolta è formato da tante realtà presenti sul territorio nazionale in ambiti locali anche molto diversi tra loro. La loro definizione non è banale: in alcuni casi si intersecano con percorsi studenteschi, in altri strettamente territoriali, in altri affrontano tematiche di genere, in altri ancora sono legati ai collettivi lgbtiq. Il sito deve dunque essere inteso non solo come rivolto all’utenza generica di Internet ma anche come uno degli strumenti con cui “fare organizzazione”, in grado di creare interconnessione fra le diverse realtà di AteneinRivolta e proiettarle verso l’esterno, verso il “pubblico”.

Ulteriori riflessioni sono quelle sul linguaggio: sia il testo scritto che i contenuti multimediali caricati su AteneinRivolta.org devono essere in grado di parlare a tutti gli utenti, che siano questi già politicizzati o meno. Per questo il sito deve contenere approfondimenti su alcuni temi affiancati da contenuti audio e video brevi e incisivi. Il sito deve riuscire a tenere insieme l’efficacia della comunicazione multimediale con l’importanza delle notizie e degli approfondimenti, degli spazi di cronaca, di analisi e di proposte.

Per concludere, poiché AteneinRivolta come organizzazione nazionale si è posta la sfida di affrontare anche i temi dell’oppressione di genere e dell’internazionalismo, ha senso fare un bilancio del funzionamento della pagine “Gender” e “Internazionale” quando parliamo dell’efficacia della nostra comunicazione.

Esse sono centrali nella caratterizzazione del nostro percorso e per questo devono essere potenziate. Pensando ad esempio alla pagina sulle lotte internazionali, potrebbe essere utile ricercare su siti stranieri articoli interessanti sulle mobilitazioni estere e tradurli per inserirli nel sito.

La pagina “Gender”, invece, è fondamentale per un’ulteriore costruzione della nostra organizzazione. Poiché AteneinRivolta si propone di affrontare tematiche di genere deve porsi la domanda di come costruire relazioni con realtà territoriali di donne e soggetti lgbtiq, ma soprattutto come promuovere la costruzione di collettivi all’interno di AteneinRivolta su questo tema.

La comunicazione è funzionale alla interconnessione dei soggetti e quindi alla costruzione delle lotte, per questo essa dovrà rimanere discussione costante nella nostra organizzazione, pur restando noi consapevoli del fatto che LA RIVOLUZIONE NON SI FA DAVANTI AL COMPUTER!

AteneinRivolta – Coordinamento Nazionale dei Collettivi in Rivolta

 

(Sono disponibili anche foto e video degli interventi sul sito di AteneinRivolta)

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